Marco Giusti Dagospia
Che vediamo stasera, se avete ancora voglia di vedere qualche film in tv? Confesso che dopo la morte di Robbie Robertson mi vedrei davvero volentieri una bella edizione di “The Last Waltz” di Martin Scorsese con tutta la Band al completo, o il suo unico film da attore e soggettista, l’introvabile “Carny – Un corpo per due uomini” di Robert Kaylor dove divide la scena di un triangolo amoroso con Jodie Foster e Gary Busey. Certo, definire Jodie Foster “un corpo per due uomini” è un po’ azzardato…
carny – un corpo per due uomini
Magari trovate i grandi film di Scorsese musicati da Robertson, come “Il lupo di Wall Street” o “The Irishman”, li ha supervisionati un po’ tutti, ma il film da vedere è quello dedicato da Scorsese a The Band, cioè “The Last Waltz”. Con apparizioni di Bob Dylan, Muddy Waters, Neil Young, Joni Mitchell, Van Morrison. Non dico a Venezia, ma almeno al Festival di Roma una bella edizione restaurata si potrebbe vedere. Altrimenti mi comprerò un Blu-Ray. Ieri ho fatto tardi per vedere le ultime puntate della scombinatissima serie di Apple tv “The Crowded Room” con Tom Holland e Amanda Seyfried, scritta dal mago delle serie israeliane Akiva Goldsman e diretti dai registi più fighetti in circolazione, Mona Fastvold, Kornel Mundruczo, Brady Corbet e Alan Taylor.
Nelle prime puntate sembra un thriller giovanile, poi un film alla “Split” su un ragazzo abitato da troppi alter ego, infine un legal thriller con morale familiare che deve spiegare le rete di ripetizioni e accettazioni degli abusi in famiglia. Una caciara.
I registi non possono salvare una serie che mette così tanta carne al fuoco e se Amanda Seyfried è molto brava nel suo ruolo di psicanalista, che cerca di penetrare nella dura corazza del ragazzo accusato di tentato omicidio del patrigno che si rivelerà abitato da molte altre personalità, da un sofisticato signorotto inglese a un giovane tossico, da una violenta spia israeliana a una bella ragazza con problemi, Tom Holland, alle prese con un ruolo complesso, si rivela troppo fragile e monodimensionale per farci innamorare del personaggio come accadeva con James McAvoy in “Split”. Ma la serie, malgrado sia lunga dieci puntate, va vista.
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