Marco Giusti per Dagospia
silvio berlusconi - il giovane berlusconi
Stasera non vi potete proprio lamentare della programmazione sulle piattaforme. Su Netflix avete le tre puntate del già discusso documentario “Il giovane Berlusconi”, scritto da Matteo Billi e Piergiorgio Curzi, diretto da Simone Manetti, con la partecipazione di Fedele Confalonieri, Marcello Dell’Utri, Fatma Ruffini, Iva Zanicchi, Giovanni Minoli, Pino Corrias, Vittorio Dotti, Stefania Craxi e Carlo Freccero.
Che vi devo dire. Berlusconi ci ha fregati quando era vivo e ci frega ora anche da morto. Perché, malgrado abbia rovinato la crescita del paese da quando è entrato in politica costruendo la classe politica oggi al governo, grande è la nostalgia di quel tempo delle prime reti berlusconiane e della costruzione della tv moderna.
silvio berlusconi - il giovane berlusconi
Già sentire Carlo Freccero spiegarci la prima regola berlusconiana, “imprigionare il pubblico col palinsesto”, poi la controprogrammazione con i Puffi come unica logica di guerriglia contro i tg della Rai (“E Puffi erano bellissimi!”), e il paragone J.R. – Berlusconi, mi rimette al mondo.
I repertori come sono? Il fuori onda dell’intervista di Mike a Berlusconi incredibile. Gli altri magari si potevano trovare di migliore qualità, ma ci sono cose mai viste.
silvio berlusconi dell'utri - il giovane berlusconi
Capisco perfettamente l’accusa di Filippo Ceccarelli riguarda alla totale mancanza di lato oscuro del Cavaliere nel documentario. Ma questa parte della sua vita è la sua Camelot. Noi stessi che stavamo da ben altra parte, e molto mi piacerebbe fare o vedere un documentario sugli anni d’oro di Rai Tre, sentiamo o subiamo il fascino di quel Canale 5. Ecco, magari qualcosina in più, per la fine di Rete 4 e di Italia 1, si poteva dire. Ma vince sempre la leggenda sulla realtà.
Ho visto anche queste due nuove serie apparse sulle piattaforme, “Fallout” su Amazon, ideata e diretta da Jonathan Nolan, fratellino di Christopher, già responsabile di “Westworld”, e “Sugar”, scritta da Mark Protosevich e diretta da Ferdinando Meirelles su Apple Tv+.
“Fall Out”, amatissima già dai critici americani, è costruita a partire da un videogame ambientato nell’America post-apocalittica di 219 anni dopo lo scoppio di una guerra atomica. La prima scena, dove assistiamo proprio al lancio delle bombe atomiche su Los Angeles alla fine degli anni ’50 mentre una vecchia star-cowboy della tv, Walton Goggins, si esibisce al compleanno di una bambina in una villa di ricconi, è strepitosa.
Ma devo dire che il cuore della storia, che si svolge appunto 219 anni dopo con una ragazza, Ella Purnell, cresciuta sotto terra, che esce in superficie, con la terra ancora contaminata, alla ricerca del padre, Kyle MacLachlan, rapito dalla banda di Sarita Chodhury, mi è sembrata un po’ confusa. Lì troverà, in versione spaventosa, soprannominato The Ghoul, ancora vivo il cowboy contaminato di Walton Goggins, che fa molto Ed Harris in “Westworld”. Serie ricchissima, violenta, ma che deve ancora prendermi.
“Sugar” con Colin Farrell nel ruolo di John Sugar, lo specialista, elegantissimo, che ha l’abilità di ritrovare facilmente le persone rapite o scomparse meglio di “Chi l’ha visto?”, mi sembra una serie molto curata ma un filo più banale. Di fatto siamo di fronte a un noir chandleriano con il detective privato che, in una Los Angeles corrotta e notturna, deve cercare la ventenne scomparsa nipote di un celebre produttore, James Cromwell.
Si vede molto volentieri però, gli attori, Farrell, ma anche Amy Ryan e Kirby Ruby, sono bravi, la regia di Meirelles elegante e funzionale, l’atmosfera giusta. Il vero problema è che si vedrà una puntata e settimana.
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