1 - BOB DYLAN: "HO ALTRI IMPEGNI NON ANDRÒ A RITIRARE IL NOBEL"
Simonetta Fiori per “la Repubblica”
Non può. Ha altro da fare, Bob Dylan. «Molto onorato, ma il 10 dicembre non potrò partecipare alla cerimonia del premio Nobel». Sfortunatamente, scrive il cantautore, avevo già preso degli impegni. E le agende dei miti, pare di capire, sono scritte a caratteri d' oro. Immodificabili.
L' Accademia incassa con eleganza, rispetta la decisione del cantautore e circoscrive il suo disappunto in un solo aggettivo: "insolito". Davvero inusuale che un Nobel non vada a Stoccolma a ritirare il premio di persona. Soprattutto se gode di buona salute, non è decrepito e non soffre di fobie sociali. Perché è vero che in passato altri scrittori laureati non si sono presentati. Ma si trattava della quasi nonagenaria Lessing, piuttosto malandata. Di Harold Pinter, colpito da un tumore all' esofago. E di Elfride Jelinek, allergica ai bagni di folla: patologia che certo non riguarda una star come Dylan.
Una decisione bizzarra. Così è stata accolta anche dal suo entourage, in particolare dal biografo Greil Marcus che pure era stato invitato dall' artista a Stoccolma. E ora s' interroga: chi andrà al suo posto? Ha il sapore della beffa l' ultimo capitolo del feuilleton che ha visto Dylan incoronato con il Nobel.
Prima le polemiche sull' opportunità di affidare a un cantautore lo scettro dell' Olimpo letterario. Poi le vane ricerche dell' Accademia che lo rincorre per tutto il globo terracqueo. Lui niente, solo un enigmatico silenzio interrotto per poche ore dalla fugace notizia Nobel laureate comparsa sul suo sito ufficiale e subito cancellata. The times are changing. Il mondo s' interroga: accetta, rifiuta?
Magari sta meditando un gran gesto: no, non posso prendere un riconoscimento così prestigioso dal momento che Philip Roth lo merita più di me. Macché, il premio Dylan se lo intasca: al momento non risultano donazioni. Però alla cerimonia il menestrello non può partecipare perché indaffarato altrove, il re di Svezia se ne farà una ragione.
Ho altro fa dare. Per la storia del premio si tratta di una variante inattesa, dopo una galleria di grandi rifiuti segnati in passato da ribellioni ideologiche, passioni politiche, regimi dittatoriali. Li fotografa con meticolosità il blog studentesco Stoccolmaroma.
L' esempio più illustre è quello di Jean Paul Sartre che nel 1964 respinse il riconoscimento più ambito della terra «perché lo scrittore deve rifiutare di lasciarsi trasformare in una istituzione, anche se questo dovesse avvenire nelle circostanze più onorevoli». Già nel 1945 aveva snobbato la Legion d' onore e in seguito la cattedra al Collège de France, sempre per la sua allergia alla imbalsamazione dell' ufficialità. La cosa non piacque a molti francesi.
E neppure allo scrittore André Maurois, il quale perfidamente sostenne che Sartre aveva rifiutato il premio perché incapace di indossare uno smoking. Qualche anno dopo, Sartre avrebbe richiesto l' assegno mai accettato per destinarlo a un' iniziativa umanitaria, ma questa volta un no secco arrivò da Stoccolma.
Non era stato un rifiuto quello di George Bernard Shaw che, svariati decenni prima, aveva accettato il Nobel dopo molte titubanze. Il riconoscimento sì, ma non i soldi, destinati alle traduzioni dallo svedese di Strindberg.
Talvolta ci si è messo di mezzo un dittatore. E l' assenza da Stoccolma del premiato non è stata frutto d' un capriccio ma una tragica necessità.
Era in un campo di concentramento il giornalista Carl von Ossietzky quando nel 1935 gli fu assegnato il Nobel della pace. Anche per tre scienziati tedeschi fu difficile raggiungere Stoccolma: il divieto di Hitler non ammetteva deroghe. E gli studiosi dovettero aspettare la caduta del nazismo per ricevere l' ambito riconoscimento.
Nel 1958, in Unione Sovietica, non andò meglio a Boris Pasternak, costretto a rifiutare il Nobel assegnato al Dottor Zivago: furono i servizi segreti del Kgb a convincerlo a non andare a Stoccolma con la minaccia che non sarebbe stato semplice tornare in patria. Il romanzo era stato accolto a Mosca come una critica al regime sovietico. E alle pressioni dei comunisti italiani dovette resistere Giangiacomo Feltrinelli, il suo primo editore nel mondo.
Più recenti sono i casi della birmana Aung San Suu Kyi e dello scrittore cinese Liu Xiaobo, che non hanno potuto scegliere il da farsi: la notizia del premio li ha raggiunti quando erano prigionieri dei rispettivi regimi. Tutti casi di assenza drammaticamente giustificata. A cui s' aggiunge una defezione ancora più motivata che è quella per decesso. È capitato a un diplomatico delle Nazioni Unite, morto in un incidente aereo poco prima di ritirare il premio per la pace. Per non dire dei Nobel postumi, tradizione interrotta nel 1974 con la decisione di laureare solo i viventi.
Dylan risulta vivente, uomo libero, ribelle sì ma non quanto Sartre. Il premio dunque lo riceverà, corpore absenti. Le regole del premio lo consentono. Ma a una condizione, precisata compuntamente ieri dall' Accademia.
Dylan deve scrivere la sua Nobel Lecture. Ed è tenuto a presentarla in occasione della cerimonia o entro i sei mesi successivi. Di certo troverà il tempo per scriverla. In fondo vale quasi novecentomila euro. E sarà sicuramente bellissima.
2 - MA GLI SVEDESI SI SARANNO PENTITI?
Stefano Bartezzaghi per “la Repubblica”
Il Never Ending Tour, dunque, non farà tappa a Stoccolma: Bob Dylan ha avvisato che non parteciperà alla cerimonia di assegnazione, che, almeno per il momento, non si terrà. Non è un nuovo caso Sartre: lo scrittore e filosofo francese rifiutò il premio, con pensose motivazioni, mentre il cantante americano semplicemente diserta la cerimonia, e dice solo che non gli è possibile partecipare. Avrà altro da fare.
Certo, ai comuni mortali è difficile pensare a un impedimento sufficientemente motivato. JK Rowling, l' autrice di Harry Potter, una volta non andò a un ricevimento a Buckingham Palace perché non aveva trovato una babysitter per la figlia malaticcia. Ma si può scommettere che fosse stato il Nobel la bambinaia sarebbe saltata fuori.
Chissà se gli accademici svedesi si sono oramai pentiti della loro scelta: non è andata dritta la proclamazione («non è letteratura, sono canzoni!»), non è andata dritta la comunicazione al vincitore (che a lungo non si è fatto trovare) e ora è un problema il conferimento ufficiale. In altre occasioni, come Pulitzer, Grammy, Oscar, Dylan aveva invece partecipato, uscendo almeno formalmente dal riottoso riserbo a cui ha abituato i suoi fan. In questa, che è la più onorifica di tutte, sceglie un' assenza da rockstar neppure corrucciata.
BOB DYLAN LIKE A ROLLING STONE
Remotamente si ha l' impressione che Dylan (volendo o non volendo neppure questo) sembri davvero indifferente a un premio materialmente cospicuo e simbolicamente inarrivabile. Visto quanto e come si sta prolungando questa bizzarra storia, viene insomma il dubbio che il silenzio di Dylan non sia, in realtà, un suo modo per comunicare disprezzo, anticonformismo, superiorità altezzosa o altro. Forse è proprio qualcosa più forte di lui, avverte un blocco, preferisce non pensarci. Sarà mica in imbarazzo lui, per aver vinto non con i suoi libri - nessuno dei quali è memorabile - ma per le canzoni?