Alessandra Arachi per il "Corriere della Sera"
Beppe Grillo sul palco insieme a Gino PaoliNon c'è bisogno di inventare per raccontare in un libro la vita di Gino Paoli: di suo va oltre ogni fantasia. Diciamo che la difficoltà di Lucio Palazzo è stata piuttosto quella di trovare un bandolo della matassa nella miriade di episodi dell'esistenza di un signore che di mestiere fa il cantante (ma avrebbe voluto essere un pittore), da cinquant'anni vive con una pallottola conficcata a un millimetro dal cuore e ha collezionato donne e figli, successi e vizi, sound rock e melodie incantevoli con la stessa intensità.
Il risultato? «I semafori rossi non sono Dio» (edizioni Rai Eri) centotrenta pagine di un libro-intervista dove Lucio Palazzo, cronista e amico, non sorvola proprio su nulla della vita di Gino Paoli, quest'anno arrivato al traguardo degli ottanta, ultimo superstite di quella generazione irripetibile di musicisti genovesi che di nome facevano Luigi Tenco, Fabrizio de Andrè, Bruno Lauzi.
Ci sono però anche gli altri genovesi nel libro, quelli che Antonio Ricci ha battezzato la «mafia» e spesso e volentieri si siedono allo stesso desco, per mangiare e filosofare e argomentare e non è difficile immaginare l'intensità delle conversazioni quando i commensali si chiamano, oltre ad Antonio Ricci, Renzo Piano, Beppe Grillo, Arnaldo Bagnasco.
RENZO PIANO jpegGino Paoli ci racconta di come fu proprio l'architetto di fama internazionale a cercare di impedire a Beppe Grillo di dedicarsi alla politica, ma anche a Gino Paoli di finire deputato alla Camera negli anni Ottanta. Come sappiamo, non soltanto Renzo Piano ha fallito nell'intento di «togliere dalla testa di Grillo i grilli della politica», ma alla fine è stato proprio lui a finire (a vita) sui banchi del Parlamento. «Geometra ti hanno fregato», gli scrisse il giorno della nomina a senatore in una lettera Paoli, l'unico che può permettersi di dare del geometra a uno come Piano. Renzo Piano ricambia chiamando Paoli «Claudio Villa».
Ma non solo gli amici, il libro racconta le donne, quelle che Paoli ha sposato, semplicemente conosciuto e quelle che ha amato di un amore senza confini, anche se bisogna leggerlo con attenzione il libro per scoprire che «Il cielo in una stanza» non è una canzone dedicata né ad Anna (la prima moglie di Paoli) né a Stefania (Sandrelli) bensì ad una prostituta.
I CANTANTI RICHARD MOSER PIERO FOCACCIA GINO PAOLI CLAUDIO VILLA TONY DALLARA E BEN E KING A PASSEGGIO PER SANREMOGià, una prostituta. È in un bordello di Genova che un giovanissimo Gino perde completamente la testa e basta ricordare le parole della canzone per capire che «questo soffitto viola» che non esiste più era proprio di quel colore viola come soltanto dentro ad un bordello un soffitto può essere.
È proprio questa la canzone che fa esplodere il successo nella vita di un non ancora trentenne Gino e, alla fine, per un contrasto di umori nella vita farà esplodere nel petto quella benedetta pallottola. Che non uccide Gino, ma si accoccola vicino vicino al suo cuore senza nemmeno sfiorarlo, un caso su un milione decreteranno poi i medici, anche se il superstite avrà la sensazione di qualcosa di ben più miracoloso.
GINO PAOLI E ORNELLA VANONIHa tentato di uccidersi con una pistola, Paoli, proprio quello che farà di lì a poco (riuscendoci) il suo carissimo amico Luigi Tenco deluso dal festival di Sanremo. Era un emulo di Paoli Tenco, anche negli affetti: fu lui a provarci con Stefania Sandrelli, già donna (clandestina) di Paoli e madre sedicenne di una bimba di nome Amanda. Era il 1964 e l'Italia certo non poteva sopportare l'idea di un figlio che nasceva fuori dal matrimonio e per di più da una minorenne. Stefania Sandrelli fu costretta ad andare a partorire a Losanna, in Svizzera.
Ma c'è molto molto di più in questo libro intervista che verrà presentato l'11 maggio al Salone del libro. Un ultimo esempio? Paoli che trascina Lucio Dalla ad un provino e lui, così, si mette a cantare con le mutande in testa. Sì, con le mutande in testa.