Antonello Piroso per la Verità
È sempre bella, Dori Ghezzi. Di solito, di una donna nata prima del 1968, gli uomini dicono: «È ancora affascinante, nonostante l' età». Bisognerebbe invece osservare: «Lo è sempre di più, ogni giorno che passa». Basterebbe guardarla seduta su uno dei divani di casa - in un pomeriggio in cui la terrazza, al di là delle vetrate, è immersa «nella bottiglia d' orzata», come la chiama ridendo lei, ovvero una nebbia tracimante lattiginosa umidità - per rendersene conto.
Sarà per il ricordo sempre vivo di Fabrizio De André?
«Le volte in cui non ci penso io, ci pensano gli altri a farmi tornare a lui.
Spesso sono io a dover consolare loro, e non è un modo di dire: mi è capitato di incontrare persone che mi abbracciavano, mi posavano la testa sulle spalle e si mettevano a piangere».
Un oggetto di culto, con decine e decine di vie e scuole intestate.
«Sì, e lui avrebbe commentato: "Ma siete matti?", perché lui non si prendeva mai troppo sul serio».
Il mito De André.
«Una volta a un ragazzo che lo definì così, rispose: "Dovresti vedere in che stato sto la mattina quando mi sveglio, penso ti ricrederesti"».
Ho letto tutto d' un fiato Anche le parole sono nomadi, ovvero: I vinti e futuri vincitori cantati da Fabrizio De André, e ho scoperto una piccola miniera di dettagli a me ignoti.
«Il rischio era che un lettore, per quanto fan, potesse dire: un altro libro su De André? Però, se è vero, come io credo, che ogni termine sarà sempre inadeguato a restituire l' intensa integrità del ricordo, questo volume, a cura della fondazione Fabrizio De André onlus, nasce proprio con questo scopo. Consegnare a coloro che lo hanno amato, apprezzandone il percorso artistico e umano, un ritratto illuminato da un' altra angolazione. Svelando l' origine di alcuni contenuti delle sue canzoni».
Un' operazione filologica, più che nostalgica.
«In quelle strofe selezionate Fabrizio cantava degli ultimi, degli emarginati, del potere, la libertà, l' anarchia, la guerra, e l' impegno è stato quello di riproporre i brani con una presentazione arricchita dagli spunti e dai commenti di Fabrizio, che qui vengono proposti per la prima volta».
Nelle sue carte scrive: «Ieri cantavo i vinti, oggi canto i futuri vincitori». Cioè?
«È una metamorfosi che passa attraverso il riscatto. Per citare le sue parole, "chiunque coltivi le proprie diversità con dignità e coraggio, attraversando i disagi dell' emarginazione con l' unico intento di rassomigliare a sé stesso, è già di per sé un vincente perché muove la storia, perché è solo dai comportamenti non uniformi e non omologati al gregge della maggioranza che l' umanità, tutta l' umanità, riesce a trovare spunti evolutivi"».
C' è una frase, da lui pronunciata nel 1997 in un' intervista per Sette, il supplemento del Corriere della Sera, su cui vale la pena soffermarsi: «Spesso si odiano le cose soltanto perché non le si conoscono».
«I muri dividono e separano, i ponti offrono un' opportunità di dialogo e di conoscenza.
Perché appunto le parole, come gli uomini, sono nomadi».
Sembrerebbe non essere questa la tendenza mainstream, incarnata dal leader della Lega Matteo Salvini. Che due anni fa scolpì questa dichiarazione: «Adoro De André. Era contro ogni dittatura, per le differenze. E quando posso, faccio una scappata al cimitero a trovarlo qui a Genova. Sono cresciuto a pane, Milan e De André».
«Viste le sue pubblicizzate frequentazioni di ultrà pregiudicati, direi che è una persona che crede di poter dire e fare di tutto, che con i suoi gesti vuole trasmettere un' immagine decisionista, ripetendo come un mantra "me ne frego". Il suo ego sarà il suo tallone d' Achille. Posso leggerle un passo del libro?».
Prego.
«Senta cosa raccontava Fabrizio: "Ho voluto ancora una volta riportare alla ribalta un certo campionario umano. È il mondo di tutti i diseredati, dei perseguitati, di coloro che la società calpesta condannandoli a una sorta di morte morale, privandoli anche della loro primitiva innocenza". Faccia il confronto di questa visione con quella espressa da Salvini, e tragga lei le sue conclusioni».
Ho capito: siamo dalle parti dell' appropriazione indebita. Faccio però grossolanamente l' avvocato del diavolo: questo governo nasce contro le élite che hanno ridotto il Paese nello stato che sappiamo, rendendo sempre più povero il popolo.
«Ma come si fa a invocare il popolo quando ai vertici del M5s è subentrato per diritto dinastico Casaleggio junior? La verità è che a Beppe Grillo è sfuggita di mano la sua creatura, evidenziando i limiti di un gruppo dirigente inadeguato allo scopo. Guidare un Paese non è una goliardata. Così i 5 stelle scendono nei sondaggi mentre cresce Salvini, con un messaggio di divisione e aggressività».
Non le piace questo governo?
«L' ho detto anche a Beppe Grillo: avrebbe dovuto chiudere l' accordo con Pier Luigi Bersani, e amministrare da sinistra questo Paese. Invece ha coltivato la chimera di arrivare alla maggioranza assoluta e di governare da solo. Così facendo ha contribuito all' avvento di Matteo Renzi, con gli effetti sul Pd che conosciamo. E a quella di Salvini, con cui ha finito con il ritrovarsi al governo».
Niente applausi per Salvini, insomma. Battuta che mi serve per confessare che nel libro ho scoperto qual è l' origine del gesto, grazie alla spiegazione che suo marito illustra in un concerto.
«Faceva parte di un rito sacrificale e propiziatorio delle popolazioni mesopotamiche. Per ingraziarsi il futuro, bisognava offrire una vittima alla divinità. La cui uccisione serviva da espiazione di una colpa collettiva. E le cui grida andavano appunto coperte applaudendo. Gli applausi agli attori sono tali perché si celebrano spettacoli in cui loro sono finte vittime sacrificali».
Ipotesi suggestiva, come gli appunti sulle donne, il loro sacrificio e il loro rapporto con l' uomo che oggi, ai tempi del Me too, bolliamo come maschio predatore.
de andrè dori ghezzi rapimento
«Parlava di un triplice sacrificio. La maternità, perché dura per tutta la vita, ben oltre i nove mesi della gravidanza. La verginità intesa come tabù. E la prostituzione, che è degradante e dolorosa».
I discendenti di Adamo invece come li valutava?
«Come l' emblema della sopraffazione. Da che mondo è mondo il potere, per autoperpetuarsi, si manifesta attraverso la violenza nelle sue diverse sfumature. E il potere è maschio. Fin da piccoli i bambini si picchiano e fanno la lotta, non così le bambine. Come mai? Fabrizio rispondeva che verso i maschi c' è maggiore condiscendenza dei genitori, una forma di educazione che quasi si compiace della violenza, così radicata che è come entrata a far parte della memoria prenatale: "I maschi nascono violenti più per una stratificazione di cattivi insegnamenti che non per istinto"».
Il vostro però era un rapporto paritario. Lui raccontava di rispettare i suoi cassetti segreti, che poteva aprire soltanto lei.
«E io facevo altrettanto con i suoi. Eravamo una cosa sola, e se ci siamo sposati è stato perché è stato Fabrizio a volerlo, ma eravamo due entità distinte che camminavano a fianco».
Curioso: De André che s' inchina a un' istituzione e a una convenzione borghese.
«Lui diceva scherzando che un secondo matrimonio, perché lui era già stato sposato, rappresentava il trionfo della speranza sull' esperienza. E spiega anche la sua vicinanza ai radicali, difensori della legge sul divorzio. Rivedo ancora quella giornata a piazza Navona in attesa dei risultati del referendum, seduti a un tavolino con Marco Pannella e Francesco Rutelli. A un certo punto arriva Cavallo Pazzo...».
Ma chi, il famoso Mario Appignani?
«Io non sapevo minimamente chi fosse. Loro ridevano, intanto quello mi aveva puntato, e con tanto di gesto mi domandava: "Ah bionda, me lo fai fa' 'n buchetto?"».
Eravate gelosi l' uno dell' altro? Avreste tollerato un tradimento?
«Io mi sarei sentita ferita, avrei sofferto, ma non avrei fatto una questione di vita o di morte di un momento di distrazione, chiamiamolo così, di Fabrizio».
E lui?
cristiano de andre e mauro pagani
«Lui non so (scoppia a ridere). Succedeva una cosa strana. A tu per tu io magari gli parlavo, e lui, assorto nei suoi pensieri, mi sentiva ma non mi ascoltava, per cui non replicava o mi dava una risposta che non c' entrava nulla. Invece, quando ci trovavamo in una casa piena di gente, separati con me all' angolo opposto al suo, dopo un po' si avvicinava e commentava le cose di cui stavo chiacchierando con altri».
Un' intima sintonia.
«Fabrizio aveva forse interiorizzato il rapporto che avevano i suoi genitori. Il padre e la madre si erano incontrati una sera in una sala da ballo, lui si presentò chiedendole se poteva leggerle la mano. Quindi le predisse che si sarebbe sposata e che avrebbe avuto due figli: "Uno assomiglierà a lei, e l' altro...a me!". Ed è stato così».
DORI GHEZZI CON FABRIZIO DE ANDRE
Tornando al libro: De André che si proclama non cristiano né cattolico, ma spera per Luigi Tenco che un Dio ci sia. E poi definisce i quattro evangelisti Matteo, Marco, Luca e Giovanni «l' ufficio stampa di Gesù Cristo».
«Fabrizio conosceva profondamente i testi sacri, da quelli ufficiali e ortodossi ai vangeli apocrifi, perché aveva comunque una visione spirituale dell' esistenza».
DORI GHEZZI CON FABRIZIO DE ANDRE
La foto di copertina è insolita per i tanti scatti che omaggiano il cliché di un De André in bianco e nero, piegato sulla chitarra con gli occhiali scuri, in un' atmosfera fumosa.
«È un Fabrizio com' era davvero, visto da vicino nella quotidianità. In piedi su uno scoglio in Sardegna, sotto un cielo azzurro e senza nuvole, che saluta con le mani a megafono. Un' immagine che più solare non si può. In direzione allegramente ostinata e contraria».
fabrizio e cristiano de andrè de andre' Il matrimonio di Dori Ghezzi e Fabrizio De Andre Dori Ghezzi e Fabrizio De Andre DORI GHEZZI CON FABRIZIO DE ANDRE zzi salvini grillo Paolo Villaggio e Fabrizio De Andre