Fabrizio Peronaci per il Corriere della Sera - Roma
Sulle prime, ha reagito a modo suo: il carattere non le manca. Claudia Endrigo, la figlia di Sergio, il cantautore gentile e anti-conformista morto nel 2005 e rimasto nella memoria di tutti per «Io che amo solo te», il singolo entrato nella classifica delle canzoni più belle di sempre, e per un motivetto geniale che i bambini non smetteranno mai di cantare («Per fare l'albero / ci vuole...»), aveva appena scartato la raccomandata. Lette le prime righe, aveva avuto uno scatto d'ira. Il timbro «Questura di Roma - commissariato Ponte Milvio» l'aveva inquietata.
Nulla di grave, invece; ma l'irritazione era rimasta. «Cosa vogliono? Un certificato che attesti la mia sanità fisica e mentale per tenere in casa cinque ferri vecchi, ormai cementificati, non funzionanti da almeno un secolo? Suvvia! Con quelle pistole potrei girarci la polenta! Molto più pericoloso il coltello del pane! Mah, siamo al teatro dell'assurdo...»
Eccolo, il Sergio Endrigo che non ti aspetti: collezionista di revolver e fucili nonché buon tiratore (al poligono o in campagna) per puro divertimento, con amici e parenti, lui che era antimilitarista e dichiaratamente di sinistra. Lui che cantava «Girotondo intorno al mondo», appello in musica alla pace e alla fraternità universale.
Nei giorni scorsi, a cavallo del 15 giugno, data dell'87° compleanno ricordato sul web da tanti fan orfani del cantante, ci ha pensato Claudia, tenace custode della memoria del padre (che fu vincitore a sorpresa del Sanremo 1968, facendo infuriare Adriano Celentano), a raccontare un aspetto inedito dell'Endrigo nazionale.
A innescare la rivelazione è stata proprio la richiesta del commissariato di sottoporsi alla visita medica prevista, con cadenza quinquennale, dal decreto 104/2018. Solo in tal modo avrebbe potuto continuare ad conservare i cimeli bellici del babbo. Ed è stata lei stessa, Claudia Endrigo, a spiegare in un post: «Quando 15 anni fa papà mi ha lasciata, contattai la Questura che mi rilasciò un certificato per detenere armi antiche artistiche rare. In quell'occasione, non avendo e non volendo prendere il porto d'armi, feci ritirare la P38 che lui deteneva regolarmente, da me trovata in un cassetto...»
La doppietta cal. 12 anno di grazia 1856, la rivoltella cal. 7 del 1852 e le tre-quattro pistole calibro 11-12, tutte ossidate, non funzionanti, acquistate da Sergio Endrigo da antiquari o collezionisti, finirono così in un vassoio tondo, sulla cassapanca all'ingresso.
«Mi ricordano mio padre e mi dispiaceva separarmici - racconta Claudia - ma letta la raccomandata, d'istinto, ho avuto un rifiuto della burocrazia, e ho scritto su Fb che non avevo intenzione di accollarmi la rottura di scatole di una visita alla Asl per una questione tanto assurda, e che la Questura venisse pure a casa a riprenderle, per rottamarle, quelle armi pericolosissime...»
Una querelle che - potenza delle comunicazioni in tempo reale, all'epoca dei social - si è subito risolta: giorni fa la figlia del grande chansonnier ha parlato con una funzionaria di polizia e l'equivoco, in virtù della classificazione delle armi come «artistiche e da collezione», è stato prontamente chiarito. Resta il retroscena: l'esistenza del piccolo arsenale casalingo ha fatto emergere un aspetto poco noto della personalità di Sergio Endrigo. «Mio papà non era affatto una persona triste o solitaria. Era un uomo serio, questo sì
Adorava sia la poesia, basti pensare alla canzone La rosa bianca , tratta dai versi di José Martí, o alla collaborazione con Vinícius de Moraes e Giuseppe Ungaretti, sia l'impegno civile, presente nella meravigliosa Anch' io ti ricorderò , dedicata a Che Guevara, scritta di getto quando ven ne a sapere che stavano per prenderlo in Bolivia», premette Claudia, che tre anni fa ha pubblicato «Sergio Endrigo, mio padre», unica biografia in circolazione del cantante.
«Però - aggiunge la figlia - papà era anche un giocherellone. Sape va godersi la vita con i suoi amici, primo tra tutti Sergio Bardotti, il paroliere, con i quali facevamo baldoria nel comprensorio di villette vicino Mentana dove abitavano anche Luis Bacalov e Ennio Morricone, e dove venivano a trovarci Lucio Dalla e Ron, Gianni Morandi, Franco Migliacci.
Tanto per dare l'idea, come racconto nel mio libro, era un gran raccontatore di barzellette, un accanito giocatore di scopa, un fanatico del ping pong, un ottimo cuoco». E, si scopre adesso, un buon tiratore... «Sì, ma questo non contrasta con il suo antimilitarismo! Era un hobby legato all'infanzia, una sorta di romanticismo nel rivivere gli anni lontani da bambino, in Istria e poi in Italia, da esule, quando giocava con i soldatini.
Fu lui stesso a raccontarmi che gli piaceva dipingerli, colorare le uniformi». Le esercitazioni armi in pugno risalgono a molto dopo, anni '70 e '80. «Io ero bambina, e poi ragazza. Mi piaceva fare il tiro a segno con lui e gli amici, in campagna. In fondo sono sempre stata un po' maschiaccio. Sparavamo ai bersagli classici o alle lattine di Coca cola. Nessun pericolo, solo un gioco. Altro che musone. Quante risate ci siamo fatti, io e papà...»
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