Paolo Mastrolilli per “La Stampa”
La notte del 18 giugno scorso, quando la polizia di Stockton lo aveva arrestato per violazione del porto d’armi, Jeremy Meeks probabilmente stava pensando che aveva combinato un guaio, da cui sarebbe discesa l’ennesima «cazziata» della moglie.
Proprio in quell’istante, però, gli agenti gli avevano scattato la foto segnaletica che avrebbe cambiato la sua vita. L’immagine era finita su Internet, diventando in breve un fenomeno. I suoi occhi azzurri, la mascella squadrata, la lacrima tatuata appena sopra lo zigomo avevano fatto innamorare l’America: oltre 101 mila «like» su Facebook, 13 mila condivisioni, 27 mila commenti. Robe tipo: «Mamma, mi sono innamorata di un criminale».
In breve si erano moltiplicati anche gli hashtag dedicati a Jeremy, intitolati #hotfelon o #FelonCrushFriday, ossia la cotta del venerdì per il carcerato. Tra il serio e il faceto, quell’immagine si era trasformata nel paradigma di un’antica passione degli americani per le foto segnaletiche dei cattivi ragazzi, e ragazze. Una perversione, che secondo il New York Times risale ai tempi di banditi come Butch Cassidy e John Dillinger, ma adesso diventa virale grazie ai social media.
La storia di Jeremy ha continuato a vivere di vita propria, anche quando lui ha spiegato nelle interviste che era un padre di famiglia, lontano ormai dalla vita della gang californiane. Quando è uscito di prigione un sito ha persino pubblicato la notizia (falsa) che la moglie, gelosa della sua popolarità, lo aveva ucciso in mezzo alla strada un’ora dopo la liberazione, mentre è vero che lui ha assunto l’agente Gina Rodriguez, nella speranza di trasformare tanta fama in un contratto da modello.
Non è la prima volta che capita. Nel 2010 era toccato a Meagan Simmons, madre di quattro figli a Zephyrhills, in Florida. Era stata arrestata per guida in stato di ubriachezza, e fra le lacrime aveva subito l’infamante scatto della foto segnaletica. «Guilty of taking my breath away», aveva commentato la Rete, colpevole di avermi tolto il fiato, e così via. Anche per lei, porte aperte verso una carriera di modella, al punto che aveva fatto causa a un sito che aveva usato la sua foto senza permesso: «Ne ho di migliori», aveva commentato.
In effetti i mugshot, cioè le foto segnaletiche, sono una specie d’arte in America. La polizia le scatta per umiliare i cattivi soggetti, e rendere pubblici i loro lineamenti, in modo che la gente possa aiutare a catturarli, se mai tornassero in circolazione. Un’antologia, ormai digitale, dello Spoon River degradato.
Ci sono cascate centinaia di celebrità, da Frank Sinatra a Mike Tyson, passando per Mick Jagger, Mel Gibson, Paris Hilton e Justin Bieber, che durante l’ultimo arresto in Florida si è messo saggiamente in posa sorridente. Alcuni ci costruiscono sopra una carriera, altri la distruggono, come Nick Nolte, che fu ripreso come un homeless mentre guidava ubriaco.
La passione per i criminali però è ancora più complessa: una maniera per penetrarne l’animo, e cercare di capire la profondità del loro abisso. Il brivido di guardare negli occhi un assassino, giudicarlo, condannarlo, o magari lasciarsi conquistare dal suo fascino oscuro. È noto, ad esempio, che Humphrey Bogart si ispirava alle foto segnaletiche di John Dillinger, per costruire propri gangster di celluloide.
L’immagine di Butch Cassidy, seduto nella Wyoming Territorial Prison, ci fissa ancora con un’aria di sfida dal 1894, e a Telluride, pittoresco villaggio minerario del Colorado dove fece la sua prima rapina, lo usano tuttora come principale attrazione turistica. Del resto, chi non sarebbe curioso di sedersi nello stesso saloon dove un bandito del Far West spendeva i soldi «onestamente» guadagnati col crimine?
Mitologia, appunto, su cui però si sono costruite parecchie civiltà antiche. E scelta di inventare la propria leggenda, o travisare la realtà. Jeremy Meeks, ad esempio, insiste che lui è solo un bravo padre di famiglia, ma chi ha voglia di credergli?