Valerio Cappelli per il “Corriere della Sera”
«Dovremo avere la capacità di cambiare. I teatri sono luoghi dove la comunità si ritrova, si sta in contatto, pubblico e artisti, e sono stati travolti. Sono chiusi, una ferita terribile. Non voglio essere catastrofista ma bisogna essere realisti. Dobbiamo guardare avanti e ci stiamo tutti rompendo la testa per trovare soluzioni», dice Francesco Giambrone, presidente dell' Anfols, che riunisce le 12 Fondazioni lirico-sinfoniche (tranne la Scala e Santa Cecilia che hanno uno statuto speciale), e sovrintendente all' Opera della sua città, Palermo.
«Martedì ci riuniremo tutti in videoconferenza».
Di cosa discuterete?
«Delle ipotesi di ripresa. È altamente improbabile che quest' estate ci saranno spettacoli all' aperto. Ci stiamo avviando alla Fase 2, una prima riapertura che presumo avverrà in autunno. Ci confrontiamo con una situazione inedita, il virus ha infettato tutto ciò che ha a che fare con le relazioni sociali».
Cosa si potrebbe fare?
«Si può mettere l' orchestra in platea e alcune decine di spettatori nei palchi; si può accentuare lo streaming, a pagamento, ma non è uno strumento sostitutivo degli spettacoli dal vivo; si possono realizzare allestimenti affidati alle nuove tecnologie della scena, l' uso delle immagini si è molto evoluto».
Non si vola: si privilegeranno artisti italiani?
«Non si tratta di dire Italia First , è un' idea che contrasta con una terra di migranti e ciò che proponiamo a Palermo, dove abbiamo il coro Arcobaleno con bambini di ottanta comunità. Ma la scelta italiana sarà una risposta alla mobilità ridotta. Suggerirò incontri con organizzatori, intellettuali e creativi; io immagino un balletto intitolato Covid 19 , una creazione che si basa su ballerini a un metro di distanza. Si può ampliare il concetto di missione, dalla didattica legata alla conoscenza degli strumenti e delle opere con brani live trasmessi alle scuole, dai meccanismi produttivi al dietro le quinte».
E i bilanci?
«Il paradigma economicista dovrà cambiare, non sarà possibile avere più fondi a seconda di quanto si produce. Io faccio spettacoli nella periferia del disagio sociale che mi danno zero euro di risorse pubbliche, ma è anche da lì che si dovrà ripartire».
Il virus ha infettato anche il rapporto di fiducia col pubblico?
«Sì, il costo del biglietto avrà a che fare con la crisi, i prezzi saranno molto contenuti e si relazionano proprio alla diffidenza e alla fiducia da riconquistare».
Cosa accadrà nella fase di passaggio?
«Quello che non dovrà accadere è dire: siamo potenzialmente riaperti ma non possiamo produrre nulla».
La cassa integrazione, alcuni teatri l' hanno già avviata, altri lo stanno per fare.
«Dalla tutela della salute delle persone alla tutela del lavoro. Seguendo le direttive del decreto, la cassa integrazione che si attuerà a scacchiera, dopo ferie smaltite e permessi, non va vista come uno spauracchio ma al contrario come uno strumento di tutela di lavoro in una fase di crisi. Nei teatri è il capitale umano che fa lo spettacolo».
Le misure di contenimento sono il vostro nemico?
«Tutte e tre (distanza, mascherine, impossibilità di viaggiare), impattano drammaticamente col modello produttivo dell' opera.. Ci sono 2-300 persone che lavorano nello stesso luogo e non si può pensare che un corista arrivi con la mascherina e se la tolga durante lo spettacolo».
Quando ne usciremo, si dovranno reinventare le regole dello spettacolo live?
«Dopo il vaccino, forse il teatro non sarà più lo stesso. Fino a pochi giorni pensavamo che a un certo punto l' incubo sarebbe finito e tutto sarebbe tornato com' era. Non ho la ricetta. Dobbiamo attraversare il deserto. È un cambiamento possibile, una sfida che va colta senza deprimerci»
Lei è anche cardiologo: sta parlando da medico?
«Un poco ci penso. Meglio prefigurarsi lo scenario peggiore e adattarsi a uno migliore quando sarà più facile».
Qual è il titolo con cui vorrebbe riaprire?
«Stavamo provando Nabucco quando abbiamo dovuto chiudere, il direttore e il protagonista erano già andati via per evitare la quarantena nei loro paesi. Era l' opera con cui il Massimo chiuse negli Anni 70, per 23 anni. Sarebbe bello riaprire col Nabucco ».