Aldo Grasso per il Corriere della Sera
«Italia», la nuova proposta televisiva in quattro puntate di Michele Santoro, non è stata delle più riuscite. Sia sul piano editoriale che su quello degli ascolti (Rai2, giovedì, ore 21.20). Non che gli argomenti non siano stati interessanti.
Nell' ultima puntata, per esempio, si è parlato dello smercio di cocaina sotto gli occhi dei professori in un liceo romano; si è parlato dello scontro tra la Roma Nord dei quartieri «bene» e la Roma Sud della periferia, tra i ragazzi ricchi che hanno tutto per nascita e quelli che desiderano le stesse cose ma devono sudarsele; si è parlato della fine delle ideologie.
Santoro ha tutta l' aria del vecchio Re Leone, del capobranco messo ai margini. E un po' mi dispiace, avendo negli anni battagliato a lungo contro di lui: per come faceva tv, per come si ergeva a Conduttore Unico delle Coscienze (copy by Giuliano Ferrara), per quanto era ideologico. Mai però sul piano personale: Santoro, a differenza di molti suoi colleghi che si riempiono la bocca di libertà d' espressione, non ha mai telefonato a chi di dovere per lamentarsi.
Credo che i fattori di questa smarrita identità propositiva siano due. Il primo è che la tv pullula di figli di Santoro: ha creato dei «mostri», non si sa quanto coscientemente. Quasi tutti i talk, di destra o di sinistra, di sopra o di sotto, hanno succhiato latte da Santoro: del resto il populismo in tv l' ha inventato lui. Quando vedi un Del Debbio o un Paragone che santoreggiano, capisci che al Fondatore non restano che le inchieste «sagge».
Il secondo fattore è che i talk non sono in crisi perché sono troppi, ma sono in crisi perché sono pieni di ciarlatani che hanno svilito il senso stesso della parola. Santoro prima si «salvava» con il pensiero forte dell' ideologia, che ormai, però, è svaporata. E allora cerca «nuovi linguaggi», espressione fra le più fatue per dire che non si sa cosa fare.
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