GRETA GARBO, ICONA “FLUID” – FUMAVA, GUIDAVA LA MACCHINA E PARLAVA DI SÉ AL MASCHILE: TUTTI I SEGRETI DELLA PRIMA DIVA QUEER IN UN LIBRO – LA “DIVINA”, CHE PORTÒ ALLA RIBALTA NELLA SECONDA METÀ DEGLI ANNI VENTI LA “QUESTIONE DI GENERE”, RIFIUTÒ LA MATERNITÀ E NON SI VOLLE SPOSARE - DI SÉ DISSE: “SONO UN UOMO CHE SOFFRE D’INSONNIA”, OPPURE “FUMO FIN DA QUANDO ERO UN RAGAZZO” ANCORA “DAI A QUESTO VECCHIO UNA TAZZA DI TÈ...”

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Dal fattoquotidiano.it

 

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Poco più di cento anni fa, nel marzo del 1924, usciva nelle sale cinematografiche in Svezia il film “La Saga” di Gösta Berling, con la regia di Mauritz Stiller. La protagonista femminile si chiamava Greta Lovisa Gustafsson. Ma da quel momento per tutti fu ufficialmente Greta Garbo.

 

L’avvio della straordinaria carriera di quella che è considerata universalmente la più grande diva del cinema mondiale, la Divina, è raccontato, insieme a tutti gli episodi cruciali e i retroscena più piccanti della sua vita, da “SeGreta Garbo” (Aliberti editore, in libreria da oggi). Si tratta di un poderoso volume (come si addice alle biografie dei grandi personaggi) firmato da Stefano Mastrosimone, autore di punta nel panorama della TV italiana e appassionato “garbologo”.

 

 

 

È la storia dell’incredibile ascesa di una ragazza nata nel 1905 in un sobborgo operaio di Stoccolma da una famiglia umile, ma capace di diventare – grazie alla propria determinazione e al proprio talento – una vera e propria icona glamour di eleganza e modernità.

 

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E di fluidità. La Divina fu straordinaria anche in questo: anticipò i tempi, portando alla ribalta – nella seconda metà degli anni Venti – quella che oggi chiamiamo la “questione di genere”.

 

Garbo che fumava, guidava la macchina, parlava di sé al maschile. Garbo che, fuori dal set, fatta eccezione per qualche occasione ufficiale, indossava pantaloni, scarpe basse, cravatte, camicie e giacche di foggia maschile, e per la notte comodi pigiami da uomo, a righe.

 

Stefano Mastrosimone ci consegna un ritratto senza reticenze di una diva che ha voluto tenacemente essere sempre sé stessa. La stella più indipendente e anticonformista dello star system, che non rinunciò mai ad affermare la sua “diversità” in un mondo totalmente dominato dal potere e dall’immaginario maschile.

 

 

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Greta Garbo è stata un’autentica leggenda del cinema, al pari di pochissimi altri suoi colleghi dello stesso periodo (gli anni della cosiddetta “età dell’oro” di Hollywood): Rodolfo Valentino, Marlene Dietrich e Charlie Chaplin.

 

Altri attori di quel tempo, artisti straordinari, sono invece oggi quasi del tutto dimenticati: Pola Negri, Erich Von Stroheim, Louise Brooks, Buster Keaton, Clara Bow, Douglas Fairbanks, Mary Pickford, Lewis Stone, Norma Shearer e altri ancora.

 

 

                   

Greta Garbo è stata la Diva per eccellenza, anzi la “Divina”, come cominciarono a chiamarla in tutto il mondo, dopo soli sei o sette film girati dall’attrice; una carriera fulminante, cominciando da zero quando era ancora minorenne, senza alcun tipo di facilitazione, provvista unicamente di talento e determinazione.

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«Sa recitare, non sa recitare, è solo un volto, no è un’artista straordinaria», tutti argomenti un po’ oziosi perché, con soli ventotto film, Greta Garbo diventa l’ossessione di milioni e milioni di spettatori osannanti, scatenando un’isteria collettiva che aveva conosciuto un solo precedente di quella portata: Rodolfo Valentino.

 

I critici cinematografici impazziscono per lei, le attribuiscono alcuni fantasiosi soprannomi, oltre al già citato “Divina” (la prima e unica Divina di tutta la storia del cinema) che diventa il suo marchio di fabbrica, viene soprannominata anche “Sfinge svedese”, “timida Valchiria”, “Principessa nordica” per quella sua aria misteriosa e distaccata, e ancora “First Lady di Hollywood”, “Cigno svedese”, “Mistero artico”, “Enigma abbagliante” e perfino “l’Incomparabile”.

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La Garbo è una donna indipendente e determinata, rifiuta con fermezza l’idea di realizzarsi come donna attraverso la maternità né le interessa sposarsi, per giunta è assolutamente un’anti-diva; nella seconda metà degli anni Venti, pone inconsapevolmente una questione di genere: si percepisce al maschile e spesso parla di sé in questi termini: «fumo fin da quando ero un ragazzo» oppure «sono un uomo che soffre d’insonnia» o ancora «dai a questo vecchio una tazza di tè». […]

 

 

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