GUARDA CHI SI RIVEDE IN EDICOLA: IL "FOTTOROMANZO" – SU QUESTE RIVISTE SI RITROVANO GLI ESORDI DI SOHIA LOREN E MIKE BONGIORNO (MA ANCHE DI CIAVARRO E DELLA BALIVO) – IL RILANCIO DELLA STORICA RIVISTA “SOGNO” – ORNELLA MUTI: “IO ERO UN’IMBRANATA. LA VERA DEA ERA MIA SORELLA CLAUDIA RIVELLI. MI PIACE DA MORIRE QUESTO REVIVAL IN EDICOLA. MEGLIO QUESTE STORIE DEI SOCIAL”

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Francesco Alò per il Messaggero

 

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Inseguita e desiderata dai registi italiani degli ultimi cinquant' anni, la splendida Ornella Muti, 65 anni, riappare improvvisamente davanti ai nostri occhi come il sogno di una giornata di mezza estate. In quella del 1970, l'appuntamento settimanale dedicato alle storie d'amore fotografate in posa, intitolato Sogno, vedeva l'arrivo di una nuova star, lei.

 

Ma è vero che all'epoca la chiamavano la dea dei fotoromanzi?

«È la prima volta che sento questa espressione. Ma se ero un'imbranata»

 

Il sex symbol Ornella Muti... un'imbranata?

«Mi sentivo impacciata e timida. Mi ricordo che anche in un carosello facevo fatica ad essere sciolta. Mi vergognavo tantissimo. Quando facevo la foto con la mano davanti alla bocca per mimare di chiamare qualcuno andavo nel pallone. Era una tortura.

 

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La verità è che all'epoca entravo in un mondo dove la dea del fotoromanzo era un'altra: mia sorella Claudia Rivelli o anche Katiuscia. Le protagoniste e le regine erano loro, io mi sentivo Cenerentola. E c'erano anche uomini deliziosi come Franco Gasparri. Io avevo solo 13 anni».

 

Che cosa la imbarazzava?

«Non riuscivo a fare le cosiddette espressioni a vuoto come nel cinema muto. Potevi anche urlare mentre ti facevano la foto ma io non riuscivo a fare bene nemmeno quello».

 

Le scene maliziose la turbavano?

«Ma no. Non si può dire che fossero baci veri quelli dei fotoromanzi».

 

Che ricordo ha complessivamente di quella esperienza?

«Era un ambiente molto semplice, pulito e simpatico. Il passaggio al cinema fu molto più traumatico perché sul set c'era più nervosismo e tensione. I fotoromanzi me li ricordo come un gioco in famiglia dove dominava sempre un senso di armonia».

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Qual è l'ultima volta che ha ripensato a quel periodo prima di questo revival?

«Stavo girando Civico zero (2007) di Citto Maselli e all'improvviso ci siamo ritrovati con la troupe negli stabilimenti della vecchia Lancio dove giravamo i fotoromanzi. Mamma mia che impressione che mi fece».

 

Perché?

«Perché era tutto abbandonato ma io avevo ancora davanti agli occhi la folla di ammiratori che veniva ogni santo giorno per provare anche solo a vedere mia sorella o Katiuscia e chiedere loro un autografo. Mi ricordavo quei luoghi brulicanti di gente, soprattutto giovani fan, mentre invece in quel 2007 era tutto deserto e desolato».

 

Che ruoli aveva Ornella Muti in quelle storie? La ragazza semplice o la Lolita?

«Eravamo tutte ragazze normalissime. Truccate sì ma rispetto a oggi di una bellezza quotidiana, oserei dire spontanea. Io facevo sempre l'innocente, mai niente di seducente o ambiguo».

 

Che ricordi ha di sua sorella su quei set?

«Magnifici. Le chiedevo tanti consigli, lei mi preparava i vestiti e mi aiutava. Una cosa da vera sorella più grande».

claudia rivelli claudia rivelli

 

Che effetto potrebbero avere quelle storie d'amore sulle nuove generazioni?

«Odio quelli che dicono: Stavamo meglio prima ma non posso negare che quando vedo questi giovani che sui social si fotografano sempre alla ricerca di essere super belli, super fichi o super freak, mi viene da rimpiangere la normalità di quelle love story a collage fotografico e di quei corpi giovani così quotidiani e rilassati. Forse i giovani troveranno questi vecchi fotoromanzi meno stressanti rispetto ai loro profili social».

 

Che impressione le ha fatto vedere la copertina con Katiuscia da domani in edicola?

«L'epoca di grande celebrità di Katiuscia l'ho vissuta meno. Non ho ricordi vividi di lei. Vedere la copertina con il suo volto mi ha fatto molta tenerezza. La trovo bellissima e pulita. Non c'è quello sguardo ammiccante che vedo oggi dappertutto. E' una sensualità fresca e leggera».

 

Che Italia c'era in quei fotoromanzi?

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«Storie d'amore di ragazze e ragazzi perbene, italiani giovani e onesti. Mi piace da morire questo revival in edicola. Ci ricorda le radici che ci appartengono e a cui apparteniamo. In fondo si è trattato della nostra gioventù professionale prima che molti di noi approdassero al cinema e in televisione. Sono fiera di tutto ciò».

 

FOTOROMANZO

Nicolas Lozito per il Messaggero

 

Guarda chi si rivede in edicola: il fotoromanzo. Così tanto amato in passato e poi così improvvisamente dimenticato, da domani potremo tornare a leggere gli storici sceneggiati della Lancio in una nuova versione della rivista Sogno: un' operazione nostalgica in cerca di vecchio e nuovo pubblico, sull' onda lunga della riscoperta del vintage: se i vinili battono Spotify, forse il fotoromanzo può battere Instagram.

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Per capire e soprattutto far capire alle nuove generazioni la portata del fenomeno fotoromanzi bisogna partire dal luogo più insospettabile: il MoMA di New York, uno dei musei più importanti al mondo. Tra le sale è esposta una copertina di un fotoromanzo italiano. Anno 1950, lire 25, ritrae una ancora semisconosciuta sedicenne: Sofia Lazzaro, dalla bellezza violenta e aggressiva, diventata poi famosa, grazie proprio ai fotoromanzi, con un altro cognome: Loren.

 

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Sogno, insieme al concorrente Grand Hotel,era una delle più diffuse riviste nel secondodopoguerra.

 

La forma narrativa era ibrida e tutta made in Italy: fotografia e nuvolette dei fumetti, la cui paternità è da dividere tra Cesare Zavattini e Damiano Damiani, entrambi all' opera dal 1947.

 

C' è molto cinema nei primi fotoromanzi, chiamati anche film statici. Per farli si usavano i fermi immagine degli sceneggiati tv: La principessa Sissi con Romy Schneider è uno dei più letti degli Anni '50.

 

All' epoca il settore vendeva più di un milione e mezzo di copie: un successo che portò a produzioni ad hoc (i primi nel capannone di via Romanello da Forlì a Roma), e giovani attori e attrici che si facevano fotografare nelle scene e nelle mimiche più diverse (ci è passato anche Mike Bongiorno). C' è tanta sperimentazione e artigianato nei primi fotoromanzi: storie semplici, d' amore e di rivincita, di emancipazione e di scoperta, che conquistano soprattutto il pubblico giovane e femminile.

 

A metà Anni '70, con le prime riviste interamente a colori, si arriva a 8 milioni di copie, ma lettrici e lettori sono molti di più: le studentesse si scambiano le riviste, consumano le pagine, discutono sottovoce delle trame più disinibite, aspettano le nuove uscite come oggi noi attendiamo la nuova puntata di una serie televisiva.

 

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Sono gli anni di Franco Gasparri, Michela Roc, Roberto Mura, Max Delys. Claudia Rivelli e la sorella, che all' inizio si fa accreditare come Francesca Rivelli, per poi diventare la più famosa di tutte: Ornella Muti.

 

I personaggi dei fotoromanzi superano i divi del cinema: un altro immancabile nome è quello della bellissima Katiuscia, idolo di tutte le ragazzine d' Italia, dai contratti miliardari e dalla parabola troppo veloce, che l' ha cacciata nel tunnel delle droga (ora ne è uscita, ha 63 anni e produce stampe su legno di personaggi dei fumetti).

 

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Inesorabile dopo la vetta, inizia la discesa: nonostante negli Anni '80 si affermino attori importanti, come Massimo Ciavarro, e molti altri compaiano agli esordi (da Caterina Balivo a Simona Ventura), la tv privata e le soap opera sconfiggono definitivamente il fotoromanzo, che scompare quasi del tutto dalle edicole.

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«Quando ero ragazzo, e lavoravo nell' edicola con mio padre, i fotoromanzi erano il prodotto più venduto», racconta Roberto Gregori, dell' edicola Gregori che si trova fuori dall' uscita della metro Lepanto a Roma ed è della sua famiglia dal 1910. Tiene in mano una copia di Grand Hotel, fino a ora l' unica rivista che punta su fotoromanzi contemporanei: «Ogni settimana ne vendiamo qualche copia, soprattutto a signore anziane», spiega.

 

Il rilancio di Sogno è un' idea di Mario Sprea, classe 1934, storico sceneggiatore: «Il nostro è un atto romantico. Con il coronavirus ho ritrovato, quasi per caso, i miei vecchi lavori e abbiamo deciso di scommetterci. Non perché ci sono affezionato, ma perché sono storie ancora attuali.

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Certo, ci sono le cabine telefoniche, ma tutto il resto è come oggi: gli stessi amori, le stesse crisi esistenziali. Un' Italia che vuole conoscersi e riconoscersi». Una fotografia alla volta. Un fumetto alla volta. E una conclusione sempre senza fine: Continua nella prossima puntata.

 

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