Testo di Francesco Guccini raccolto da Paolo Flores d’Arcais pubblicato da Micromega 2/2018 e ripubblicato da la Repubblica
L' aria che qualcosa stava per cambiare si avvertiva già da prima del 1968. Ne ebbi la netta sensazione tra il '66 e il '67, quando andai ad Amsterdam, dove erano attivi i Provos, proprio per capire cosa questo movimento controculturale dei Paesi Bassi avesse in mente.
Mi resi subito conto che erano molto diversi da noi italiani figli di piccoli borghesi: era gente che faceva una vita molto differente dalla nostra. Un giorno, mentre camminavo con uno dei capi di questo gruppo, passando vicino a un bidone della spazzatura, vedemmo un paio di scarpe, buttate lì e lui disse: «Uh, queste sono interessanti, possono ancora servire!». E se le portò via. Una cosa che noi non avremmo mai fatto. Vivevano in maniera diversa da noi, per proprio conto, in piccole comuni addirittura. Noi a questo non eravamo ancora arrivati.
Del mio soggiorno ad Amsterdam ricordo in particolare una manifestazione contro la guerra in Vietnam. La protesta non era autorizzata, perché l' idea era che, in tal modo, la polizia sarebbe intervenuta per sedarla, ci avrebbe picchiato e saremmo finiti sui giornali, garantendo in pratica che la manifestazione fosse un successo. Io ero là, con la chitarra, e fui intervistato per caso - ovviamente non mi conosceva nessuno - da un giornalista che mi chiese chi fossi, avendo sentito che ero uno straniero. In effetti, alla fine la polizia intervenne, non sono certo se usò anche i gas lacrimogeni, ma sicuramente cominciò a manganellare e scappammo via. Poi conobbi una ragazza e mi imbarcai dietro di lei.
Quando scoppiò il Sessantotto, partecipai all' occupazione della facoltà di Magistero a Bologna, anche se non vi passai mai la notte. A Magistero erano quasi tutte donne, come alle magistrali, e quindi l' elemento femminile era preponderante, ma nei giorni delle occupazioni non ho mai combinato niente da questo punto di vista. Parlavamo soprattutto dell' università, di come avrebbe dovuto funzionare.
Ricordo che c' era anche un altro musicista, Rudi Assuntino, che faceva canzoni molto più rivoluzionarie delle mie - tipo «Buttiamo a mare le basi americane» - e che mi tacciava, non dico di essere reazionario, ma quasi. Eppure non lo ero! Di quel periodo i ricordi più vivi riguardano non tanto l' occupazione di Palazzo Campana a Torino, che pure è il momento che apre il Sessantotto, ma i fatti di Roma e la reazione di Pasolini, la cui poesia fu pubblicata su L' Espresso. Tutto sommato, pensavo che non avesse tutti i torti. Ne parlai fra l' altro con un amico, uno del Pci, e anche lui era d' accordo con me, perché in fondo questi poliziotti d' allora erano proletari o sottoproletari che venivano mandati allo sbaraglio.
In quegli anni suonavo già da tempo. Nel 1964 era uscita Auschwitz, nel 1966-67 Dio è morto e all' epoca ricordo che ci incontravamo in un appartamento di amici, che era stato liberato dai genitori ed era stato battezzato "Folkstudio", dove ci trovavamo certe sere alla settimana a suonare e a discutere.
Cantavamo canzoni anarchiche di fine Ottocento, inizi Novecento, come quelle di Pietro Gori. Non amavo cantare le mie canzoni.
Certo se si andava magari a fare uno spettacolino, o se qualche amico mi chiamava da qualche parte, allora ero, non dico costretto, ma insomma andavo e le cantavo. Per esempio mi viene in mente un evento in una libreria Feltrinelli, organizzato dal responsabile della catena, Romano Montroni, che era mio amico. Un altro posto di ritrovo era un' osteria, dove si radunavano molti studenti stranieri che erano allora a Bologna, tra cui molti nordamericani di Medicina, altri di Ingegneria che venivano dalla Grecia. C' era una bella gioventù, un bel fermento. Nel 1969 arrivò una ragazza americana che suonava molto bene la chitarra, il repertorio di Bob Dylan, si cantavano quelle canzoni, qualche volta feci con lei anche dei duetti.
Fu nel 1972, con l' Lp Radici, che decisi che quella della musica era la mia vocazione, ma continuavo a non suonare i miei pezzi quando andavo in giro, al massimo, quando avevo qualche canzone nuova, la facevo sentire agli amici per vedere che reazione avessero.
In quegli anni, in tutta Italia, l' onda lunga del Sessantotto si faceva ancora sentire e a Bologna ancor di più. Ricordo gli scontri dell' 11 marzo 1977, quando lo studente e militante di Lotta continua Francesco Lorusso fu colpito a morte dagli spari dei carabinieri.
Di quel periodo ricordo che con Bonvi, il disegnatore di fumetti, Lucio Dalla e altri avevamo messo su una radio. Quando chiusero Radio Alice, noi ancora non trasmettevamo, ci mandava on air Red Ronnie per telefono. Alla fine Lucio Dalla decise di chiuderla e non se ne fece più niente. In pratica, di quella nostra radio libera, facemmo solo le prove di trasmissione.
- (testo raccolto da Paolo Flores d' Arcais e curato da Ingrid Colanicchia)
Francesco Guccini francesco guccini