Giuseppe Scaraffia per “il Venerdì - la Repubblica”
“Ti porterò a cena in un posto curioso, dove ognuno si serve da sé. Cucina internazionale. Forse ci troverai anche lo ci, anche se immagino che tu dei cavoli ne abbia fin sopra i capelli!», aveva annunciato Elsa Triolet a Vladimir Majakovskij nel giugno 1925. Il locale era un ristorante costoso,Voisin, al 261, rue du Faubourg Saint-Honoré, celebre per avere servito la sera di Natale 1870, durante la carestia della Comune di Parigi, un menu con il lupo, l' elefante, l' antilope e il cammello provenienti dal giardino zoologico.
Era stata Elsa, 29 anni, a riconoscere Filippo Tommaso Marinetti, 49, mentre stava firmando autografi agli ammiratori, seduto vicino al pittore futurista Fillia a una delle tante manifestazioni dell' Exposition Internationale des Arts décoratifs et industriels modernes. I due poeti non si vedevano dal 1914, quando l' italiano era andato in tournée in Russia per mettere in collegamento i futuristi delle due nazioni.
Ma, ipotizza Gino Agnese nel suo penetrante libro Marinetti-Majakovskij.
1925. I segreti di un incontro (Rubbettino), forse non si trattava solo di una rimpatriata tra avanguardisti ormai affermati. Forse il russo sperava di recuperare l' italiano, deluso dal fascismo quanto lui dal comunismo. Forse l' incontro era stato caldeggiato dai potenti servizi segreti sovietici.
Non era stato facile trovare una data per quella cena. Il russo infatti era finalmente riuscito a ottenere un visto per l' America. I grattacieli e la modernità degli Stati Uniti lo attraevano irresistibilmente, anche se l' assenza di rapporti tra gli States e l' Urss l' avrebbe costretto a passare per il Messico.
Marinetti era alto, ma sembrava piccolo vicino al gigantesco Vladimir Majakovskij. I grandi occhi chiari della minuta, graziosissima Elsa nascondevano la determinazione con cui avrebbe scalato la vita culturale francese. In quei giorni però era solo un' esule dall' Urss e soprattutto la sorella dell' amante in carica di Majakovskij, Lili Brik. Estremamente realista, Elsa aveva saputo dimenticare che Lili le aveva rubato Vladimir, con cui aveva mantenuto un' amorosa amicizia.
Era lei che lo accompagnava in uno dei più lussuosi negozi di Parigi, "Old England", dove il rivoluzionario comprava valigie speciali per i suoi giri di conferenze, nonché camicie, cravatte, calzini e persino una doccia da viaggio. Majakovskij, trentadue anni, aveva l' ossessione della pulizia. Nei caffè beveva da una cannuccia per non toccare il bicchiere con le labbra, e aveva con sé un portasapone per lavarsi dopo avere stretto la mano di qualcuno.
Entrambi erano calvi, l' italiano da sempre, il russo per libera scelta. Visti da lontano, in quella cornice lussuosa, potevano facilmente essere scambiati per dei normali borghesi. Marinetti non esibiva più con fierezza patriottica un calzino verde e uno rosso, preferendo ormai la sobrietà che consigliava ai futuristi: «Vestire un abito anonimo, possibilmente di sera uno smoking. Niente fiori all' occhiello, niente guanti».
Majakovskij non era più il dandy in cilindro e camicia gialla di dieci anni prima. Gli scarponi chiodati da mugik, che l' avevano fatto soprannominare da Marina Cvetaeva l'«arcangelo dal passo pesante», erano stati sostituiti da morbide calzature. Un dandy francese, ex-marito di Elsa, gli aveva consigliato un sarto a cui Vladimir mandava disegni per abiti che avrebbero dovuto correggere i suoi difetti.
OSIP BRIK - LILI BRIK - VLADIMIR MAJAKOVSKY
Voisin offriva vini pregiati e non erano più i tempi in cui, a Mosca, Marinetti aveva dovuto dimostrare ai futuristi russi che anche nel bere gli avanguardisti italiani potevano primeggiare, vuotando quattro bottiglie una dopo l' altra. Sicuramente non si sarebbe abbandonato a "gioie futuriste", distruggendo i piatti come al matrimonio di Gino Severini.
Ma anche i dialoghi sembravano avere smarrito la loro spontaneità. Il russo aveva con sé un questionario in francese, per fronteggiare l' eloquenza torrenziale dell' italiano. Erano nove punti destinati a mettere in luce le contraddizioni tra il passato eversivo del futurismo e il suo crescente inserimento nei meccanismi di potere del nuovo regime. Ma il tono burocratico del testo non poteva piacere a Majakovskij, anche se probabilmente ne condivideva la sostanza.
LILI BRIK - Con Majakovskij tommaso benedetta marinetti
Tra gli atti d' accusa della "velina" c' era una nota di speranza. «È vero che nel presentare la vostra esposizione alla "Scuola di cultura proletaria" di Milano avete dichiarato che i proletari comprendono il futurismo meglio dei borghesi d' Italia?». Per poi stringere: «Non vi pare che da questa frase si dovrebbe concludere: l' organizzazione borghese è un ostacolo allo sviluppo della civiltà?». Baffi elettrici, voce rauca, occhi mobilissimi, "Effetì", come si faceva chiamare, cercò di persuadere il riluttante Majakovskij che per l' Italia il fascismo era l' equivalente del comunismo per la Russia, senza riuscirci.
Prima di separarsi, Marinetti scrisse sul taccuino di Vladimir: «Al caro Majakovskij e alla grande Russia - energica e ottimista- i miei auguri futuristi». Per poi aggiungere sulla pagina seguente: «Al grande spirito innovatore che anima la Russia: non si esaurirà! La nostra anima futurista italiana non si fermerà».
Quando, anni dopo, Vittorio Strada rievocò quella cena con Lili Brik, azzardando che doveva esserci un motivo se i due futuristi avevano aderito al totalitarismo, lei si limitò a rispondergli: «Erano due rivoluzionari».
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