Marco Drago per “il Giornale”
Premessa: è praticamente impossibile parlare male di Bertoncelli. Nemmeno Guccini lo fece ne L' avvelenata anche se il malinteso ha attraversato indenne i decenni.
Frank Zappa: si comincia sempre da lui, quando si affronta il totem-Bertoncelli. Lo vediamo in copertina (splendido remake della copertina di Weasels Ripped My Flesh a opera di Sergio Ponchione) e ne leggiamo per parecchie delle pagine che compongono il volume Topi caldi (Giunti, 272 pagine, 16 euro), sorta di antologia con inediti che spazia per il canone bertoncelliano, composto da tutti gli irregolari del rock e dintorni:
Zappa, Beefheart, John Fahey, Can, Syd Barrett, Robert Wyatt, Brian Eno, They Might Be Giants, Sun Ra, Julian Cope e via degenerando. Un tempo i critici musicali avevano il ruolo di esploratori della giungla di uscite discografiche e tornavano dai loro accidentati viaggi con consigli sull' acquisto di questo o quel 33 giri.
Ora non è più così: i periodici dedicati alla musica sono quasi tutti falliti e le giovani generazioni ascoltano direttamente le novità grazie allo streaming, giudicano in base al proprio gusto ineducato e sembrano non sentire affatto la mancanza di guide illuminate.
L' aura del critico musicale ha cessato di esistere. Uno potrebbe legittimamente chiedersi: «Allora che senso ha leggere un libro di Riccardo Bertoncelli nel 2016?».
Ha senso perché Bertoncelli è il capostipite di tutti i critici musicali italiani, resta il più blasonato, il più colto, il più controverso e senza dubbio anche il più talentuoso in termini di scrittura. E ha senso perché lui ti racconta delle cose, non sta lì a ragionare su figo/non figo: parte da un disco e ti conduce per le vie del mito come un vero narratore.
Chi lo segue da quarant' anni ha ormai imparato a conoscerne i tic linguistici, il vezzo delle citazioni greco-latine, la logorrea da liceale anni '70 e anche in Topi caldi (ennesima citazione zappiana) il viaggio, seppur lungo e impervio, è piacevole come non mai.
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Oltre ai soliti nomi, a bordo trovano posto eterogenei frammenti impazziti del music business di ogni epoca, come Skip Spence, Marilyn Manson, Chumbawamba, Mike Patton e The Decemberists, un mucchio selvaggio di generi e atteggiamenti, tutti accomunati dall' anticonvenzionalità dell' approccio e, soprattutto, dall' essere oggetti dell' amore bertoncelliano.