Estratto dell’articolo di Claudio Plazzotta per www.italiaoggi.it
Il ragazzo dai pantaloni rosa è il fenomeno cinematografico del momento nelle sale italiane: 5,6 milioni di euro al box office, più di 830 mila spettatori, un boom imprevisto pure dalla casa di produzione e distribuzione Eagle pictures.
La vera storia di Andrea Spezzacatena, vittima di bullismo che si tolse la vita a 15 anni nel 2012, è stata raccontata in un libro, di cui ha comprato i diritti Roberto Proia, executive director cinema e produzione di Eagle pictures, e sceneggiatore. Il quale ha puntato molto sul film, dopo i suoi successi, sempre come sceneggiatore, con la trilogia in piattaforma Sul più bello (2020), Ancora più bello (2021), Sempre più bello (2022), della serie tv Sul più bello (2024) su Prime video, solo per citarne alcuni.
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Proia è stato protagonista di una interessante master class durante il Torino film industry, in cui ha provato a spiegare perché il cinema commerciale dovrebbe essere il faro guida della industry italiana, che invece continua ad avere, purtroppo, la puzza sotto al naso quando si tratta di assecondare i gusti del pubblico. Eccola riproposta nella forma di intervista.
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Che approccio ha quando si mette a scrivere per il cinema?
Non scrivo per me. Scrivo sempre per gli altri, penso al cliente finale, che è il mio capo. Quindi scrivo in genere storie commerciali, che non è una brutta parola. E le scrivo già con la mente del distributore (“mah, questo risvolto scabroso o violento è proprio necessario?”) e del produttore (“non facciamo sta scena sotto la pioggia, che fare la pioggia al cinema costa molto”).
E infatti le sue sceneggiature poi diventano film…
È vero, non mi stupisce che le mie 13-14 sceneggiature abbiano sempre trovato casa. Perché ce lo dimentichiamo sempre, ma noi siamo una industria, dobbiamo far lavorare le persone. In Italia quando uno parla di film commerciale molti professionisti del settore alzano ancora gli occhi al cielo, come a dire: “Mamma mia, che schifezza”.
Proprio pochi mesi fa ho chiesto a una regista italiana molto famosa di dirigere il film su Il ragazzo dai pantaloni rosa. Lei ha letto il copione, però poi ha commentato: “Non lo faccio, voi siete Eagle pictures, fate film commerciali”. Ma che vuol dire? Commerciale significa che porti tante persone al cinema. Peraltro lei aveva appena fatto un film da tre milioni al box office, che in Italia significa film commerciale. Quindi pure lei è commerciale. Boh, pazzesco.
Si dice che lei sia specializzato nello scrivere per i giovani…
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Mah, il mio prodotto è un po’ fuori dal tempo. Secondo me non serve essere pedissequi nel riproporre come parlano i giovani, come vestono i giovani, anche perché poi scopri che magari ascoltano pure Frank Sinatra. Non credo serva dare loro esattamente quello che già vivono a scuola, nella vita.
Che rapporto ha con committenti come Rai o Prime video?
Beh, con Amazon per i film e la serie di Sul più bello ho avuto rapporti eccezionali. Loro pagano, vanno ascoltati, mi hanno sempre fatto delle osservazioni puntuali e giuste. In Rai, per la serie Gloria con Isabella Ferilli, l’approvazione della sceneggiatura è stata più faticosa, si parlava di cancro.
Ora sto scrivendo la seconda stagione. Gloria poi è andata anche su Netflix. La cosa divertente è che adesso i film di Sul più bello sono su Netflix, mentre la serie tv è su Amazon Prime video.
E veniamo a Pantaloni rosa…
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Ho letto la storia, l’ho trovata molto cinematografica, ho comprato i diritti del libro e ho parlato a lungo con la mamma di Andrea. Ho scritto il soggetto e la sceneggiatura, e ho pensato che questo film potesse riempire un vuoto importante in sala, portare al cinema ragazzi che non ci vanno mai. Già in fase di sceneggiatura, tuttavia, non ho voluto spingere sulla tristezza.
È un film sulla vita, non sulla morte. È un film vitale. E così è stato, quindi, sia per la sceneggiatura, sia per la messa in scena, sia per la campagna marketing. La mia idea era un film tipo Wonder, per intenderci, non tipo La stanza del figlio. Non intendevo fare la lezioncina, non volevo neppure puntare troppo sulle emozioni. È un film che unisce, ragazzi che vanno a vedere un film italiano, senza star: qualcosa di incredibile.
Che ne pensa del politically correct imperante, degli asterischi, dello schwa?
Io penso che il cambiamento debba venire dal cuore, non da uno che ci dice come parlare, scrivere, che termini usare. Imporre terminologie, mettere l’asterisco diventa una cosa robotica, cerebrale, macchiettistica. Ed è un grande difetto. Stiamo perdendo tempo in cose senza senso. Io sono omosessuale, ma con Pantaloni rosa non ho voluto fare un film sulla omofobia. Voglio parlare di accettazione tout court delle varie diversità.
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Che consiglio si sentirebbe di dare a un giovane che voglia iniziare una carriera nella industry cinematografica?
Lavora per più di quello che ti pagano, con la fame di apprendere e di acquisire competenze. Con me, almeno, ha funzionato.
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