Aldo Cazzullo per il ''Corriere della Sera''
Il naso di Iva Zanicchi.
«Dopo due femmine, mio padre Zefiro voleva il maschio. Arrivai io. Per tre giorni rifiutò di vedermi. Poi scoprì che ero identica a lui. Le mani, i piedi, il sorriso. Il naso».
L’aquila di Ligonchio.
«Le mie sorelle mi chiamavano Pinocchio. Un complesso terribile. Lo superai solo quando cantai a Sanremo Zingara, con i capelli raccolti in una treccia e il naso bene in vista. Solo allora me lo sono rifatto».
Soddisfatta?
«È una delle due cose di cui mi pento nella vita. Mi sono amputata una parte di me. Un pezzo della mia identità».
regina schrecker con iva zanicchi foto di bacco (1)
L’altra cosa?
«Quando prima di compiere quarant’anni posai nuda su Playboy. Vidi la copertina e fui presa dal panico. Telefonai all’unico giornalaio di Ligonchio scongiurandolo di nascondere tutte le copie: mia madre Elsa mi avrebbe riempita di botte».
A quarant’anni?
«Se è per questo, mamma picchiò mia sorella Maria Rosa il giorno delle nozze: non voleva più sposarsi».
La convinse?
«Mia madre pesava 114 chili ed era convincente».
Lei, Iva, è nata in questi giorni, ottant’anni fa.
«L’inverno del 1940 fu il più nevoso della storia. La strada per Vaglie di Ligonchio, il paese di mamma, mille metri sull’Appennino, era bloccata. Che poi non era una strada ma una mulattiera. Nonno Adamo scese in slitta a prendere l’ostetrica, detta e guff, il gufo, perché era così brutta che i bambini appena messa fuori la testina non volevano più uscire. Ma e guff si rifiutò di mettersi in viaggio sotto la neve».
E sua mamma?
«Fece tutto da sola. Stava mungendo le mucche. Sono nata in una stalla: come Gesù. Non escludo che mi abbia deposto nella mangiatoia».
iva zanicchi foto inedite dall'archivio di oggi 24
Il suo primo ricordo?
«Pippo. L’aereo che andava a bombardare la centrale elettrica. Scappai di casa per vederlo. L’aviatore mi fece un cenno di saluto, che ricambiai. Poi lo raccontai a mamma. Che mi riempì di botte».
E suo padre?
«Era prigioniero dei tedeschi, in un campo vicino a Dresda. Tornò che pesava 40 chili. Io mi ero immaginata un eroe: vidi uno scheletro che aveva un piede in una scarpa rotta e l’altro in uno zoccolo. Rimasi delusissima. Piansi per due notti: anche perché prima nel lettone con la mamma dormivo io, e adesso dormiva lui. La terza notte arrivò da me con una carta da zucchero, piena giustappunto di zucchero: “Questo è per te, non dirlo alle tue sorelle” mi sussurrò. Da quella notte fu il mio babbo».
A lungo gli Imi, gli internati militari in Germania, non trovarono il coraggio di raccontare quel che avevano subito.
«Anche mio padre all’inizio non ne parlava mai. Poi ci disse che stava morendo di fame, ed era uscito per scavare qualche patata. Fu bastonato a sangue e condannato a essere fucilato il mattino dopo. La notte un vecchio riservista lo nascose e gli salvò la vita. Capii che mio padre era davvero un eroe. Lo scrissi in un tema. Il maestro mi rimproverò: per lui esistevano solo i partigiani. Ma anche quella di mio padre e degli altri prigionieri fu Resistenza».
E i nonni?
iva zanicchi foto inedite dall'archivio di oggi 18
«Il nonno paterno, Antonio, era andato in America a cercare fortuna. Tornò più povero di prima. Faceva il boscaiolo nel Montana; arrivò la grande crisi del legname. L’altro nonno, Adamo, aveva fatto la Grande Guerra. Sua madre, Desolina, aveva un’osteria e una voce potentissima, da soprano drammatico: venivano dai paesi attorno per ascoltarla. Una domenica arrivò uno da Parma che voleva portarla in città a studiare canto e a conoscere Verdi, che era ancora vivo. Il suo fidanzato, mio bisnonno Lorenzo, per gelosia si oppose. In cambio lei si fece sposare. Morì cantando come un usignolo».
Che nome è Desolina?
«In paese non c’era un nome da cristiano. Una ragazza si chiamava Brandina. Un’altra Nicola: quando obiettarono al padre che era un nome da maschio, rispose che finendo per “a” doveva essere per forza un nome da femmina. Mio zio si chiamava Pronto, anche se tutti lo chiamavano Veraldo: che non era granché, ma era pur sempre meglio di Pronto. Mia zia Argentina chiamò le figlie Italia e Emilia. In compenso tutte le donne del paese avevano voci bellissime. In chiesa era commovente sentirle cantare, senza musica, in modo celestiale».
iva zanicchi foto inedite dall'archivio di oggi 4
E lei?
«Io avevo una voce un po’ mostruosa, da contralto. Il prete mi sgridava: Iva canta piano, che copri gli altri bambini».
È vero che da piccola rischiò di morire?
«Avevo la febbre a 42 per un ascesso. Le zie tentavano di consolare mia madre: “Iva non ce la farà, ma avremo un angelo che pregherà per noi in paradiso…”. Sentii e feci il gesto dell’ombrello. Altro che angelo…».
La sua carriera comincia con il Disco d’oro di Reggio Emilia.
«Lì conobbi Gianni Morandi, che era fuori concorso perché troppo giovane, e una ragazza che portava un cappellino con veletta: Orietta Galimberti».
Orietta Berti?
«Lei. Insieme cantammo a Sala Baganza, Parma. L’impresario ci fece uno scherzo feroce: disse ai musicisti che in camerino c’erano due entraineuse a disposizione, Orietta e Iva. Entra il pianista, mi chiede “tu sei Orietta o Iva?”, e mi scaraventa sul letto. Scoppiai a piangere: “Allora aveva ragione mamma, a dire che le cantanti sono tutte puttane!”. Lui ci rimase malissimo. Si chiamava Angelo. Diventò il mio primo fidanzato».
Fu la sua prima volta?
«Niente sesso. Mamma non voleva. Persi la verginità a 27 anni, con l’uomo che ho poi sposato: il figlio del proprietario della casa discografica Ri-Fi».
Fu alla Ri-Fi che incontrò Mina?
«Più che Mina, incontrai la sua scia. Una volta le vedevo le gambe, l’altra volta la nuca. Era già una star; eppure non mi ha mai potuto soffrire. Un anno Mina era in Messico, e Antonello Falqui mi propose di aprire Studio Uno con una canzone, subito dopo Carosello: una roba da 25 milioni di spettatori. Mina interruppe la tournée e si precipitò in Italia: “Se prendete quella ragazzotta, perdete me”. Mi cacciarono».
Ma lei cosa pensa di Mina?
«Tecnicamente è stata la più grande. L’ho sempre ammirata ma non l’ho mai temuta: quando dovevo aprire l’ugola dal vivo, non ce n’era per nessuno. Così, quando mi proposero un duetto con lei al Lido di Venezia, accettai subito. Mina rifiutò. Fui sostituita da Claudio Villa».
Con Claudio Villa lei vinse il suo primo Sanremo, nel 1967.
«Ricordo ancora le urla: “Si è ammazzato Tenco!”. Preparai la valigia: ero convinta che avrebbero sospeso il festival. E avrebbero dovuto farlo. Una rivista mi propose la copertina, se fossi andata a deporre rose rosse sulla sua tomba. Li mandai a quel paese».
E Ornella Vanoni?
«Ogni volta a Sanremo trovava il modo di gettarmi nel panico. Stavo per salire in scena e mi faceva: ma come ti hanno truccata, ma quanto ti sta male quel vestito… A me però è sempre stata simpatica».
Nel 1969 lei rivinse con Zingara.
«Oggi mi farebbero cantare: “Prendi questa mano, rom…”».
Perché ha fatto politica?
«Per vendicare mio padre. Si candidò per il Psdi: prese un solo voto, il suo. Neanche quello della moglie. Lui la afferrò per il collo, furibondo. Lei rispose: “Non posso andare all’inferno per colpa tua!”. Il parroco le aveva prospettato le fiamme eterne se avesse votato, non dico comunista, ma socialdemocratico».
Come ricorda il primo incontro con Berlusconi?
«Mi avevano offerto un sacco di soldi per condurre una trasmissione. Rifiutai. Mi invitò a casa sua. Andai in bicicletta — abitavo già qui a Lesmo, vicino ad Arcore —, decisa a chiedere il triplo. Mi portò in un teatrino con il pianoforte. Pensai: ora mi tocca cantare. Cantò lui, per un’ora. Mi affascinò. Parevo Fracchia. Firmai alla cifra che mi avevano proposto».
È rimasta celebre una telefonata di Berlusconi mentre lei era in tv da Gad Lerner: “Iva, si alzi ed esca da quel postribolo!”.
«Quella sera tutti attaccavano Silvio, e io lo difendevo. Ma quando Lerner mi chiese della Minetti, risposi che di lei non mi importava nulla. Berlusconi non stava guardando; la Minetti purtroppo sì, e lo avvisò. Così lui fece quella scenata. Ovviamente rimasi in studio. Qualche giorno dopo ci fu una festa di Forza Italia. Le donne mi guardavano con disprezzo: “Tu cosa ci fai qui? Non ti vergogni?”. Silvio invece mi abbracciò: “Iva, come mi difendi tu non mi difende nessuno!”».
iva zanicchi bobby solo sanremo 1969
Cosa dovrebbe fare ora?
«Liberarsi da molte delle persone che lo circondano. Parlargli è diventato impossibile. Oggi per me Berlusconi è Piersilvio. Che si sta dimostrando un bravissimo imprenditore».
Come finisce in Emilia?
«Tutti dicono che vincerà la destra. Ma io conosco gli emiliani. Certi contadini hanno ancora il ritratto di Stalin. Secondo me alla fine la sinistra tiene».
Lei per chi voterebbe?
«Io di sinistra non sono, ma guardo le persone. Ho visto in tv la Borgonzoni e non mi è piaciuta. Questo Bonaccini ha governato bene. Perché non riconfermarlo?».
Di Salvini cosa pensa?
«Tutti lo accusano di essere un fannullone. Ma io me lo ricordo a Strasburgo: votava al mattino, andava a fare un comizio in Lombardia, e il mattino dopo era di nuovo lì».
A dire il vero era un noto assenteista.
«È una persona di cuore. Molto affettuoso con i figli: li portava pure al Parlamento europeo, ce li mostrava orgoglioso. Certo, a volte è un po’ eccessivo. Ma l’immigrazione va regolata».
È vero che lei è stata in tournée in Iran con Lando Buzzanca?
«Lui era un divo. Ma la vera star era Moira Orfei, amatissima dagli iraniani, che adorano il circo. Erano gli ultimi giorni del regime, l’impresario sputava sul ritratto dello Scià. Me ne andai in tempo. Moira Orfei rimase. Scoppiò la rivoluzione e perse il circo».
E Walter Chiari?
«Partiamo in tournée nel 1974 e lui mi fa, con il tono con cui si chiede un drink: “Stasera noi due facciamo l’amore”. E perché? “Lo faccio con tutte le attrici. Così si crea una sintonia e lavoriamo meglio”. Dissi di no. Lui si stupì molto: “Sia chiaro però che te l’ho chiesto!”. Pensava mi offendessi. Quella sera ci raggiunse sua madre, una vecchiettina molto simpatica: “Gli hai detto di no al mio Walter? Brava! Finalmente una brava ragazza!”. “Avrà mica parlato con mia mamma?”. “Certo che ho parlato con tua mamma!”».
Si racconta di un suo flirt con Alberto Sordi.
«Mi telefonava a ogni compleanno per farmi gli auguri. Quando facevo Canzonissima, ogni sabato sera mi mandava i fiori con un biglietto carino. Poi mi invitò a Bologna per fare da madrina alla prima del Presidente del Borgorosso football club; il padrino era Beppe Savoldi, il centravanti. Morivo di vergogna: tutti pensavano che fossi l’amante di Sordi. All’epoca ero astemia; quella sera comincio a bere. Mi ritiro in camera, sento bussare: è Alberto, che mi invita nella sua suite. Ci vado. Inevitabilmente lui mi sbatte sul letto; ma non riesce a slacciarmi il vestito, attillatissimo. “Vado di là a spogliarmi” gli sussurro; e fuggo».
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