Antonio Gnoli per Robinson – la Repubblica - Estratti
(..) Non penso di essere reticente. Semmai ho sofferto di una timidezza patologica, dalla quale mi pare di essere guarita».
Nella voce di Laura Morante avverto un’eco delle origini toscane (è nata vicino Grosseto). Mi piacciono la sua forza tranquilla, i suoi dubbi, la sensazione che trasmette di stare in un posto e contemporaneamente con la mente altrove.
Elisabetta Sgarbi la premierà alla Milanesiana, quest’anno dedicata proprio al tema della timidezza.
«Con Elisabetta vent’anni fa girai Notte senza fine e dieci anni dopo presi parte aQuattro storie d’amore » ricorda. Più di cento film realizzati, due regie riuscite, un bel libro di racconti (Brividi immorali), tre figli (l’ultimo adottato), tre uomini importanti nella sua vita, completano il quadro di una donna colta, bella e impegnata.
(...)
LAURA MORANTE RITRATTO DI RICCARDO MANNELLI
Sei andata via da casa molto presto.
«Avevo diciassette anni quando da Grosseto sono venuta a Roma».
So che c’entra la tua passione per la danza.
«Ho studiato danza classica. Ma da ballerina non ho fatto una grande carriera: qualche anno di professionismo per poi ritirarmi, nella consapevolezza che non sarei mai diventata ciò che avrei voluto».
Ti resta il rammarico?
«Considero la danza la più totale ed effimera delle arti. Nei gesti e nella postura, impegna tutto il tuo corpo e la tua mente. Ma alla fine non resta niente, tranne l’immagine di una bellezza gratuita. Ho sofferto la rinuncia. Nel frattempo arrivò il cinema, prima ancora il teatro».
A teatro fai un’esperienza con Carmelo Bene.
«Un uomo di spettacolo straordinario, ma anche un amabile despota. Aveva la crudeltà del bambino che stacca le ali alle mosche. Ma non era meschino, non invidiava le persone di talento».
Gli bastava il suo ego stratosferico.
«Si accendeva dell’intelligenza altrui. Fino a trasformarla in una sfida. Aveva una venerazione per Eduardo De Filippo e per Elsa. Sospetto che mi abbia scelta all’inizio anche per quello che di eccezionale vedeva in mia zia. Era uno che ti torturava costringendoti a turni di prove massacranti. Tanto è vero che, continuando anche a fare la ballerina, alla fine sono scoppiata».
Qui ha inizio il tuo rapporto con il cinema. Prima Giuseppe Bertolucci (“Oggetti smarriti”) e poi Bernardo (“La tragedia di un uomo ridicolo”). Com’erano i due fratelli?
«Fino all’ultimo Bernardo conservò quel modo, tra il dispettoso e il giocoso, che lo rendeva bambinesco. Non è mai diventato vecchio, a differenza di Giuseppe che non è mai stato giovane. Furono entrambi importanti».
Sei stata scelta da altri grandi registi. Tra cui Alain Resnais.
«L’esperienza con Resnais, in pratica un solo film, è stata la cosa più straordinaria che mi sia accaduta. Essere sul suo set era pura magia».
Hai lavorato anche con Nanni Moretti. Tre film importanti, l’ultimo “La stanza del figlio”. Un rapporto complicato.
«Fino a La stanza del figlio i nostri rapporti sono stati buoni, con qualche oscillazione caratteriale. Ma in definitiva niente da dire. Quello che non gli ho perdonato è il suo comportamento dopo quel film».
So che c’entra in qualche modo Cannes.
«Sapeva di aver vinto la Palma d’Oro, ha trattenuto tutta l’équipe e mi ha chiesto di ripartire. Non ha voluto che ci fossi alla premiazione».
Ti sei data una spiegazione?
«Non c’era stato niente che potesse far presagire o giustificare quel comportamento. Addirittura la sera in cui al Sacher ha presentato il film, testimone una mia amica seduta accanto a me, si è avvicinato e mi ha detto: “Adesso presento il film, hai nulla in contrario se non ti chiamo?”. “Fai come ti pare”, gli ho risposto e la mia amica è rimasta a bocca aperta. Nanni dal palco ha chiamato Jasmine Trinca, Giuseppe Sanfelice e poi ha detto “Lauranon viene perché è troppo timida”. Roba da non credere!».
Questo prima o dopo Cannes?
«Prima, mi pare. Non voleva che ci fossi. E la cosa non aveva alcun senso. Il problema è che su certe persone, sui loro comportamenti, c’è totale impunità. Tutto viene tollerato, ricondotto alle stranezze dell’uomo o della donna di talento».
Li ritieni gesti inammissibili?
nanni moretti laura morante la stanza del figlio
«Come li giudicheresti? Ho lavorato con Harvey Keitel, un vero “mostro” sul set. Capriccioso e tirannico. Pretendeva di dire le sue battute da solo con i primi piani e noi costretti poi a parlare al nulla. Il giorno in cui dovesse non esserci più, sono certa che scriveranno di un meraviglioso attore, generoso e disponibile. Ma perché quando uno muore tutti ne parlano bene?».
Forse perché la morte ci rende tutti uguali.
«Vabbè. Allora tutti buoni, tutti meravigliosi e gli stronzi, quelli che in vita si sono comportati malamente, che fine fanno? Ho conosciuto tante persone buone e leali, perché devo metterle sullo stesso piano di quelle che non lo sono?».
laura morante lo sguardo dell altro
Monicelli diceva muoiono solo gli stronzi.
«Aveva ragione, l’ho amato tantissimo».
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laura morante lo sguardo dell altro
laura morante laura morante la stanza del figlio nanni moretti jasmine trinca laura morante la stanza del figlio laura morante e nanni moretti bianca laura morante. laura morante foto di bacco laura morante ph gianfranco salis laura morante