Lorenzo Drigo per Novella 2000 – www.novella2000.it - Estratti
Abbiamo incontrato – in occasione della prossima Mostra internazionale del Cinema di Venezia 2024 – Andrea Roncato, “mostro sacro” del Cinema italiano, presente al Lido con la pellicola d’esordio di Maurizio Matteo Merli Il tempo è ancora nostro e nel cast del film di chiusura – l’horror L’orto americano di Pupi Avati – del festival.
Ne è nato un lungo dialogo che parte proprio dalla sua partecipazione alla Biennale, per poi arrivare anche alla storica amicizia con Gigi Sammarchi, fino a quella volta in cui conobbe Alain Delon, con cui condivideva anche la carriera (che ha sempre negato!) da seduttore.
Roncato, partiamo dalla Mostra di Venezia. In Il tempo è ancora nostro, un film dove si racconta la vita intrecciandola alla passione per uno sport molto particolare come il golf, interpreta Costantino, padre del tossicodipendente Stefano. Com’è stata questa esperienza?
«Bella, molto bella. Partiamo col dire che c’erano degli attori molto bravi, come quello che interpretava appunto il ruolo di mio figlio, Mirko Frezza, che oltretutto è una persona molto in gamba: sono stato contento di aver lavorato con lui. Il regista è Maurizio Matteo Merli, figlio dell’indimenticabile Maurizio Merli, con il quale io avevo lavorato tanti anni fa per Tango Blu, un film d’autore di Alberto Bevilacqua. Maurizio Matteo è un regista che ha già fatto alcune cose molto belle, è molto meticoloso e pronto».
Le è piaciuto girare il film?
«Mi è piaciuto molto fare questo film anche perché ha il bel messaggio che lo sport ti può tirare fuori da certe situazioni e rimetterti in riga. Mi è piaciuto farlo anche perché purtroppo adesso siamo circondati da film, anche di grande successo, soprattutto in televisione, dove gli eroi sono dei delinquenti, personaggi negativi. Poi non ci lamentiamo che i bambini vanno a scuola coi coltelli e si accoltellano, perché glielo insegniamo noi con questi esempi, mentre sarebbe ora di dare qualche bel messaggio: esattamente come facciamo questo film».
Passando a L’orto americano, come si è trovato a fare un horror, proprio lei che a lungo è stato famoso per la sua comicità?
«Io a lungo sono stato famoso per la mia comicità, però adesso sono già 20 anni che interpreto film d’autore: ho lavorato con Muccino, con Virzì, in sei film per la RAI, in altri tre per Pupi Avati, compreso un altro suo horror purissimo, ‘Il signor Diavolo’. Ultimamente mi sono dedicato a film d’autore con ruoli abbastanza seri o anche drammatici, ma il fatto di passare da attore comico ad attore drammatico non è difficile, sarebbe molto più difficile il contrario».
Non le piace più fare film comici?
gigi sammarchi andrea roncato lino banfi l'allenatore nel pallone
«Non è che non mi piaccia farli, ma io sono un attore, è la mia professione, e quindi qualsiasi cosa mi offrano, che mi piaccia, la faccio. Chiaramente bisogna fare cose adeguate alla tua età, al tuo personaggio. Se a trent’anni andavo in giro per le spiagge a fare il donnaiolo, e questo faceva ridere, andava benissimo; ma se lo facessi ora, a 70 anni, credo che mi renderei patetico.
Bisogna adeguarsi alla propria età e sono molti che non l’hanno capito e continuano a fare cose comiche a 80 anni, sembrando un po’ patetici. Il comico quando gira un film interpreta sempre un po’ se stesso, mentre fare l’attore vuol dire interpretare vari ruoli e bisogna che prima o poi cambi, altrimenti rischi di diventare ripetitivo».
A proposito della sua comicità e del suo storico compagno di avventure cinematografiche, come sono oggi i rapporti con Gigi Sammarchi? Tornerebbe a lavorarci assieme? Avete qualche progetto comune per il futuro?
«I rapporti con Gigi sono ottimi perché siamo parenti, più che amici. Gigi interpreta benissimo Gigi, e non gli interessa interpretare altre cose. Adesso lui abita a Marbella, in Spagna, e se c’è bisogno di fare qualcosa in teatro proprio come “Gigi”, un cabaret o altri spettacoli, lui viene e si diverte molto. Ma i vecchi film che abbiamo fatto ormai sono una cosa difficile da fare e non ci sarebbe più interesse a farli da parte nostra».
Capitolo chiuso?
«Lui ha vissuto tutti i successi degli anni 80/90, ha risparmiato, non ha problemi a vivere fuori dal mondo del cinema, e vive benissimo al mare. Lui ama fare footing, fa la maratone perché si diverte, mentre io ho più la passione per questo lavoro, senza il quale non saprei stare. Gigi si gode la vita in un’altra maniera, io vivo facendo questo lavoro».
(…)
Significa che vita di oggi è simile agli anni 80?
«No, no. Adesso è passata la voglia di divertirsi e purtroppo anche la tecnologia ci ha portato ad avere sempre meno contatti umani: ormai si fa tutto via internet, via social. Anche in discoteca vedi i ragazzi tutti da una parte e le ragazze tutte dall’altra. Tutti con il telefono in mano: non c’è più l’approccio. Io mi ricordo che quando c’era una che ti piaceva partivi, cercavi di fare simpatico, di farti due risate; mentre adesso i ragazzi vedono una ragazza che gli piace dicono “ma lo sai il profilo Instagram, che le mando un like?”… Sembrano marionette e io credo, purtroppo, che l’algoritmo stia prendendo anche la parte dei genitori, la nuova generazione è figlia del telefonino».
La colpa è dei giovani, dei genitori o della tecnologia?
«Ma no, non è colpa di nessuno. Sono i tempi che, purtroppo, ci hanno portato a queste cose qua. E neanche il telefonino bisogna demonizzarlo; però quando lo si usa troppo ne va a discapito del rapporto umano, non c’è più il dialogo e questo indebolisce i giovani perché il telefonino non ti dà la forza di un amico che ti vuole bene».
Alleggeriamo un po’ i toni… L’altro giorno dopo la morte di Alain Delon l’ha ricordato su Instagram e Facebook con una breve storia: ha qualche aneddoto su quel vostro incontro a ‘Grand Hotel’?
«Ho fatto una piccola storia perché mi era rimasto simpatico da quando facevamo Grande Hotel…Era tra gli ospiti, all’epoca in cui era nel massimo della sua fama e della sua bellezza. Era estremamente umile e quel giorno lì era il mio compleanno: abbiamo fatto amicizia e, con Gigi, volevamo andare a mangiare fuori».
Dove siete finiti?
«Abbiamo telefonato ad un locale: “Veniamo con Alain Delon”, pensavano che li stessimo prendendo in giro, ma ci fecero spazio nel ristorante in un posto un po’ appartato, lontano dal resto della gente. Gli dissi, “ho visto che davanti al tuo albergo ci sono un po’ di donne ad aspettarti, adesso tu vai e...”; mi fermò e rispose “ma figurati, io tempo di andare nella porta sul retro e poi vado a letto. Io ho le mie donne, le mie compagne di vita: questo diventerebbe un lavoro”. Era veramente una persona umile».
Un pensiero prima di chiudere quest’intervista?
«Due. Il primo è che spero e credo molto nei giovani e credo che saranno loro a darci una mano per cercare di mettere a posto questo mondo che noi stiamo un po’ rovinando. E vorrei anche ricordare sempre il mio amore per gli animali e la natura: rispettateli! Dico che spesso noi adoriamo Dio e adoriamo un Dio che non vediamo, perché in realtà non si vede, e poi dopo disprezziamo o roviniamo gli alberi, la natura, gli animali, le cose che ci circondano; senza renderci conto che queste sono quel Dio che noi adoriamo senza vederlo».
E il secondo?
«Da vecchio playboy, vi consiglio di fare come me: trovatevi una donna perché il vero playboy è quello che riesce a tenersi vicino un’unica donna con la consapevolezza che questa gli vuole bene davvero».
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