Mario Luzzatto Fegiz per il “Corriere della Sera” - Estratti
Il pop italiano ha un campione d’enfasi e melodia di nome Amedeo Minghi. Da «Il profumo del tempo» (la canzone che fece innamorare a Sanremo Pippo Baudo e Katia Ricciarelli, che la cantava fuori gara) a «Decenni», da «1950» a quell’ameno tormentone che è tutt’ora «Vattene amore» (recentemente ripresa da Fiorello e Nina Zilli e pure da Stefano Bollani con Valentina Cenni), Minghi è un concentrato di romanticismo e internazionalità con solide radici nella tradizione.
Fu il primo a realizzare e pubblicare una canzone su papa Wojtyla intitolata «Un uomo venuto da lontano», brano davvero struggente sulla vita e il pontificato del vescovo di Roma: dalla gioventù in cui fu operaio e poeta, fino all’attentato, dai viaggi nei Paesi lontani alla lotta contro la povertà e la guerra, pellegrino di pace...
«In Vaticano — ricorda l’artista — disponevano già di una canzone sul Papa scritta da Marcello Marrocchi, autore di “Perdere l’amore” (con cui Massimo Ranieri vinse Sanremo 1989, ndr ), e cercavano un interprete. Venni invitato a cantare alla sala Nervi con l’orchestra e il coro diretti da monsignor Marco Frisina, nell’ambito di una celebrazione del sacerdozio del Papa. Cosa non frequente, seguì personalmente il concerto, nel quale avevo incluso, riarrangiata e riscritta, anche “Un uomo venuto da lontano”. Alla fine il Papa mi fece un sacco di complimenti e mi chiese il testo del brano, perché non aveva capito bene tutte le parole».
«Se Mozart fosse vivo oggi — aggiunge Minghi — lavorerebbe per la Disney e comporrebbe colonne sonore per i cartoni animati che sono la sfida più difficile per un musicista. All’epoca si lavorava di fino... qualità fin nei dettagli. Oggi non ne sarei più capace».
La canzone «Il profumo del tempo» fu galeotta e fece sbocciare un amore a prima vista fra Baudo e Ricciarelli...
«Di canzoni galeotte ne ho scritte molte. Tant’è che 5 membri della band e del mio staff hanno sposato fan conosciute durante i tour. Così oggi sono circondato dal frutto delle mie canzoni. Faccio musica a tutto campo alternando stili e atmosfere. E non manca “la musica da acchiappo” quella che favorisce il primo bacio...».
(…)
Come ha visto cambiare questo mondo?
«Ogni generazione ha il dovere di cambiare tutto. È sempre successo così. Se non lo fanno i giovani chi lo deve fare? Facemmo anche noi così. Quante cazzate... via il latino dalle scuole, partiti, confederazioni, in piazza per qualunque pretesto. E poi? Alla fine tutto era come prima o peggio. Non siamo riusciti a cambiare il mondo.
Adesso i giovani propongono canzoni con testi incomprensibili, parole che non so cosa significano. Perché sono troppe. Noi veniamo da lontano, dalla poesia vera dove le parole contavano. Ma più aggiungi parole, meno dici. Con rime forzate riesci a sfornare stupidaggini incredibili. Il livello oggi è basso basso. Preoccupante».
Tecnologie?
«Quanto basta. Le canzoni le scrivo al pianoforte, sempre. Ho cominciato con la chitarra, poi dagli Anni 80 sono passato al pianoforte. Quando poi mi trasferisco in studio sono obbligato dalla tecnologia. Ai giovani dico: non affidate il 90% del lavoro al computer. Non abbiate fretta. Il computer aiuta, ma non sostituisce. Non va bene andare a casaccio. Devi capire quel che sai e sei veramente. E raccontarlo al meglio».
Lei ha collaborato tra gli altri con Mariella Nava.
«Sì, ma voi critici avete stroncato il brano “Futuro come te” proprio in duetto con lei. Ci avete ribattezzato “Duo Novembre”».
Sì, è vero. Per noi ci voleva il pop, il rock o la canzone d’autore. Sul belcanto all’italiana eravamo spietati.
«Ma c’era del buono anche nel belcanto... Sottovalutarci non è stato intelligente. Quella canzone trattava argomenti nuovi come internet. Voi eravate un pochino indietro».
Altre collaborazioni?
«Con Marcella Bella, Anna Oxa, Marisa Sannia, Gianni Morandi, Andrea Bocelli».
E poi Bongusto, Di Capri, Bruno Martino. Cosa ne pensa?
«Io non mi rendevo conto di cosa fosse una canzone da atmosfera. Mi veniva e basta. “La vita mia” la cantano in chiesa ai matrimoni ma anche ai funerali... Un prete me la fece cantare per desiderio del defunto nonostante il brano parlasse di un amore che va male. Il pubblico fa un uso improprio delle mie canzoni? Va bene così».
I suoi modelli?
«In gioventù amavo Cat Stevens, una voce molto interessante. Il più grande orchestratore era Neil Diamond».
I ricordi più ameni?
«Anni fa vado nella beauty farm di Mességué. Lì incontro Gino Bramieri e leghiamo subito. Alla sera decidiamo di fare una partita a Scala 40. È durata tre giorni. Per ogni carta Gino raccontava una barzelletta diversa. Facevamo gli scemi e ridevamo per qualsiasi cazzata. Nelle pause nessuno toccava le carte. A ogni scarto lui inventava qualcosa. Quelle barzellette lampo che erano esilaranti. Credo di aver vissuto la settimana più divertente della mia vita. Mai riso così tanto».
E poi?
«Aggiungerei due situazioni incredibili. Un Capodanno assurdo. Tornavo da una serata. Eravamo io e il mio autista. A mezzanotte ci siamo fermati. Area di servizio deserta. Rapido brindisi. In lontananza i botti di mezzanotte...
Ripartiti sobri con un sorso di frizzante in corpo. Altro Capodanno: io e moglie. Io in smoking, lei in lungo. Pronti per uscire attesi a una festa. Ma il mio cane che si chiamava Totò, golden retriever cominciava già a guaire. E così abbiamo brindato insieme a Totò a casa nostra. Non volevamo lasciare solo il cane. Eppure eleganti truccati perfetti mi sentivo traboccare di affetto e gioia».
La barzelletta-lampo di Bramieri che ricorda meglio?
«Bagnino: “Ehi, lei, ma lo sa che non si può fare pipì nella piscina?”. Bagnante: “Ma lo fanno tutti!”. Bagnino: “Sì, ma non dal trampolino”».
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