Alessandro Fulloni per il “Corriere della Sera” - Estratti
«Vivevo a Roma e un pomeriggio chiama Sergio Leone, lo conoscevo bene, con lui e la moglie facevamo spesso delle gite. Ero fidanzatissima con un padovano ma Sergio esordisce così: “Tu stasera non hai impegni, sei ospite con amici miei”. Replico: “Ma non posso!...”. Insiste. Sapevo che stava girando C’era una volta in America e mi dico dai, magari ci scappa una particina. Mi dà l’indirizzo di un’osteria a Trastevere, Checco er carrettiere ...
Io, che son friulana, arrivo in anticipo, era il giugno del 1982, molto caldo, avevo preso il sole, indossavo un bel vestitino, ero una bambolina. Mi faccio un giretto... a un certo punto passa uno: A bbona, sei un paradiso ! Timidissima, mi nascondo in un bar sinché non intravedo Sergio con la moglie. Gli chiedo: ma stasera cos’è, una cena? Mi prende sotto braccio e mi dice: “Sì, ma mi devi promettere che non lo fai bere”. Io allora chiedo: “Ma chi?”. Risposta: “Eh, Robert De Niro”. Trasecolo: “E io che c’entro?...”».
Dalila Di Lazzaro, 71 anni, stesso fascino e verve naïf di sempre, racconta un pezzo della sua vita e anche una cena che fa parte del mito, quella organizzata da Gianni Minà e che vide, uno dopo l’altro, l’arrivo di Muhammad Ali, Robert De Niro, Sergio Leone e Gabriel García Márquez.
Nella sua elegante casa a Milano, zona Brera, su un divano e dopo essere tornata dall’ospedale «per dei controlli andati bene», l’attrice e celeberrima fotomodella dalla fine degli anni Settanta, sorride: «Essì, c’ero anche io...».
Ma lei De Niro lo conosceva?
«Mai visto prima. Però Leone disse: “Figliola mia, ma non sai quello che Robert ha fatto perché tu fossi qui stasera. Mi ha detto che se non ci fossi stata tu, lui non avrebbe fatto il film con me. Non puoi capire, mi ha chiamato da New York: “A llora c’è Dalila?” ».
Al tavolo come vi sistemaste?
«Diresse tutto Sergio, tu mettiti qui, Minà di là, poi Márquez, poi il produttore, poi un’attrice americana e altre due persone, due uomini e una donna, non ricordo i nomi. Quando entra Muhammad Ali dico nooo... anche mio padre era un pugile, boxava con Primo Carnera che gli fece un occhio nero. Ali era il suo mito».
Ma De Niro?
«Subito non lo riconobbi, sembrava un frate. Camicia di lino e jeans stropicciati, infradito. Sergio, zac , lo piazzò vicino a me. A un tratto Leone fa: niente vino, niente vodka per lui, lo voglio magro sul set...».
E poi?
«Vedo che mentre mangiava, Ali s’addormentava, la testa scendeva sul piatto. Allora la moglie, bellissima, gli dava un colpetto e lui si riprendeva. Sergio mi disse: “Non lo sa ancora nessuno ma ha un problema alla testa...”».
La foto cult della cena?
mina de niro ali leone marquez
«Ricordo che quando si misero in posa io osservai: ma perché non la fate anche con le donne? Perché solo gli uomini? Sergio, o forse Gianni, spiegarono che era uno scatto particolare, la letteratura, lo sport, il cinema, il giornalismo...
in teoria avevano ragione».
In pratica, una scena un filo maschilista...
«Ci rimasi un po’ così, vabbé. Se non altro la foto, tac tac e tac , fu fatta da una donna, credo la moglie di Minà».
Torniamo a Bob...
dalila di lazzaro a domenica in 1
«A mezzanotte avevo appuntamento con il mio fidanzato, gli avevo detto che ero fuori per lavoro e di aspettarmi. Quando saluto e me ne vado, De Niro esce con me, non sapevo come smollarlo. Mi resta dietro per tutta Trastevere.
“Vengo con te”, io con i tacchi sui sampietrini...
renato pozzetto dalila di lazzaro oh serafina
“Non ti lascio, voglio star con te”. Io: “Ma non posso!”. E lui: “Non ti faccio niente ”. Ussignur ».
Il seguito?
«Arriviamo a piazza Navona. Vado verso l’hotel Raphael, esasperata entro e chiedo un taxi. Quando arriva l’auto, Robert mi dà un bacio, mi fa cadere, mi abbraccia. Io mi divincolo. Dico al tassista... vada via: scappo, una liberazione!».
Dalila, voltiamo pagina. Lei ha vissuto il dolore più grande che una madre possa subire: la morte del figlio...
«Christian era del 1969, oggi sarei nonna. Chissà. Venne travolto da un’auto la sera del 19 maggio 1992 mentre rincasava in motorino, sulla Cassia. Aveva 22 anni, io 37. L’ho avuto che ero quindicenne. Eravamo legatissimi, con lui mai un problema. Studiava, voleva diventare un dentista, sarebbe dovuto andare negli Stati Uniti per perfezionarsi. Era un chitarrista, suonava in un complessino che si era esibito anche al PalaEur. Solo dopo la sua morte seppi che componeva canzoni, me lo dissero i ragazzi della sua band».
(...)
È vero che poi fu chiamata dalla Santa Sede?
«Sì, mi dissero che papa Wojtyla avrebbe voluto incontrarmi per darmi la comunione. Andai, mi prese la testa, ero in lacrime. Mi chiese se credessi, risposi di sì. Mi fissò con gli occhi azzurri e mi confortò: “ Non ci sono parole, però sappi che lui sarà sempre con te, ricordatelo ”. Il mese scorso ho ripensato a quelle parole quando mi è successa una cosa bellissima, sorprendente».
Prego, prosegua.
«Quando sono andata a rinnovare il passaporto, qui a Milano, si è avvicinato un maresciallo: “Ho pensato molto se dirglielo. Lo sa che ero nello stesso scaglione di Christian? E che era amico mio? Ommammamia... ”».
Che altro le ha raccontato?
«Aveva gli occhi rossi. L’ho guardato, ho visto mio figlio non per come era, ma per come avrebbe potuto essere. Poi abbiamo ricordato il giuramento. Christian ci scherzava su: “ Mamma, i miei amici ti hanno vista in tribuna, ora sanno che sono tuo figlio, quanto mi vergogno”.Rideva, però. Dopo la cerimonia facemmo le foto con gli ufficiali e la truppa».
Le adozioni single. Battaglia avviata da lei...
«Andavo in un orfanatrofio sulla Camilluccia per le messe a ricordo di Christian. I più piccoli mi guardavano con certi occhioni... riflettei: ma una seconda chance per loro? Perché una donna, anche sola, non può adottarli?».
ALAIN DELON E DALILA DI LAZZARO
Quando entrò il cinema nella sua vita?
«Lasciai Udine per fare la commessa a Roma. Stavo in una pensioncina a piazza Barberini, piccola piccola. Qui c’era un ragazzo che tentava di fare il cinema, anca lù . Mandò in giro le mie foto. Feci dei servizi pubblicitari. Uno scatto, non so come, giunse tra le mani di Andy Warhol».
Come finì?
«Una mattina suona il telefono. “Pronto? Qui è la Champion di Carlo Ponti, la aspettiamo per un provino con Andy Warhol” . Credevo fosse uno scherzo, li mando a quel paese, riappendo. Richiamano: è la stessa voce maschile, ma arrabbiata: “Non mi metta giù il telefono!” ».
Era Carlo Ponti?
«Sì. Poi feci il provino davanti a lui e soprattutto davanti a Warhol. Lì compresi che la mia vita non sarebbe stata più la stessa».
Si disse poi che lei divenne amante di Ponti, grande produttore e marito di Sophia Loren...
«Niente di più falso, per me fu come un padre, mi ha dato senza pretendere niente, un pigmalione. Lui vedeva in me, e io ci ridevo, la nuova Greta Garbo. “Tu non credi in te stessa! Tu devi andare a studiare negli Usa! Vai a imparare l’inglese! Vai all’Actors Studio!” » .
E lei?
Andai, New York però mi travolse, le feste, il centro del mondo. Mollai. Diventai modella, guadagnavo tanto... Mah, aveva ragione lui...».
Ha mai incontrato Sophia Loren?
«L’ho sfiorata due volte a delle sfilate, non ci siamo mai rivolte parola. Per Carlo era un esempio: “Dovresti essere come lei, parla le lingue, fa ginnastica ogni mattina” . Ma io non ero così».
Tra suoi flirt, il tennista Yannick Noah.
«Lo conobbi al Foro Italico. Dagli spalti gridano: “ Dalila sei bellissima!” . Yannick stava servendo ma si fermò per guardarmi. Iniziò così...».
L’Avvocato la raggiungeva in elicottero...
«Sì, diciamo che Gianni Agnelli aveva delle comodità che a volte faceva provare anche a te. Una sera ero da lui, a Roma. C’era Henry Kissinger, mi annoiavo. Sono lì per andarmene e lui mi dà un portasigarette. Io glielo ridò, “che me ne faccio”... Andiamo avanti così per un po’. Sto per uscire senza essermelo preso quando mi raggiunge Brunetto, il suo maggiordomo, che mi dice: “Se l’Avvocato ti fa un regalo, accetta”.
Poi mi accorsi che la scatola era di Bulgari, ci pagai l’anticipo di una casa”».
Alain Delon.
«Sempre incazzato, una tigre, bellissimo. Sul set, a Parigi, succede un guaio: non mi fanno il trucco e lui furibondo sparisce. Dalla troupe dicono: “Solo tu puoi calmarlo...”. Gli telefono: “Mi hai lasciato qui come una cogl...”. Ride, torna. Intanto disegnai una sua caricatura, sorridente, son brava con le matite... Gliela diedi: “Ti voglio solo così”. Allora mi portò da Tiffany, fece realizzare una medaglia con scritto: “Dalila, ne m’oublie jamais. Alain” ».
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