Estratto dell’articolo di Elle Mills per www.repubblica.it
La mia vita fino a oggi è stata scandita dai numeri: 1,7 milioni di iscritti; 1,8 milioni di follower totali; 155 milioni di visualizzazioni. A 12 anni ho iniziato a pubblicare video su YouTube. Lo scorso novembre, a 24 anni, ho smesso.
[…] il mio canale era schietto e onesto come un diario. Fa parte della nostra cultura: essere conosciuto per quello che sei – e lodato per questo – attira quelli di noi che muoiono dalla voglia di essere visti. Al tempo stesso, un’altra parte della cultura ti chiede di trasformare te stesso in un prodotto e capire come venderlo.
Il successo si misura in visualizzazioni e iscritti, numeri visibili a tutti, che si trasformano in una scarica di adrenalina per la tua autostima. È una droga che crea dipendenza, suscettibile di down che colpiscono con altrettanta forza.
La carriera che ho costruito su YouTube è quella che milioni di giovani sognano. Molti iniziano a realizzare video per condividere se stessi con un pubblico che di fatto è disposto ad ascoltare. E poi, arrivati a 1.000 abbonati, ecco il primo assegno daYouTube: se il numero degli abbonati cresce, crescono anche gli accordi e le collaborazioni che spesso portano fama e fortuna. Se fatto bene, YouTube può diventare rapidamente una carriera redditizia. Ma mantenerla è un delicato atto di equilibrio e a volte, come è stato per me, i sacrifici richiesti sono troppo pericolosi perché ne valga la pena.
elle mills sposa il ragazzo di sua sorella
L’apice della mia carriera, per esempio, non sempre ha corrisposto con le mie fantasie di bambina sulla fama. Più che altro ero costantemente terrorizzata dall’idea di perdere il mio pubblico. La mia autostima era diventata così intrecciata alla mia carriera che mantenerla sembrava sul serio una questione di vita o di morte.
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Così YouTube è diventato presto un gioco a “Qual è la cosa più folle che faresti per attirare l’attenzione?”. La mia risposta? Sposare legalmente il fidanzato di mia sorella. Doveva essere uno scherzo spensierato (poi il matrimonio è stato annullato) ma quasi tre milioni di persone hanno guardato quel video. Dai numeri dovrei considerare questa e altre trovate simili come successi, ma provo un senso di colpa travolgente quando ripenso a tutte le persone che ingenuamente hanno partecipato ai miei show.
Una parte di me sente di avere approfittato del loro desiderio di essere visti. Ho guadagnato fama e successo sfruttando le loro vite. Loro non hanno guadagnato nulla. Ciò detto, ero un’adolescente che prendeva decisioni basate sulla visibilità che la nostra cultura ci insegna a desiderare. Sapevo che il mio pubblico voleva più autenticità da me. Per dargliela, rivelavo parti di me stessa che avrei dovuto saggiamente mantenere private.
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Nel 2018, ho pubblicato impulsivamente un video sulla mia battaglia contro un esaurimento nervoso, che conteneva filmati intimi dei miei crolli emotivi. Quei crolli erano, in parte, un prodotto della grave ansia e depressione causate dall’inseguimento di quello stesso successo che molti altri adolescenti bramano. Quel gesto non ha messo fine alla mia carriera, anzi, mi ha portato ancora più fama. Condividerlo ha significato essere vista per quella che ero, ma la verità è che ho trasformato in prodotto alcuni dei momenti più devastanti della mia vita.
Eppure ho continuato a farlo. Col senno di poi, i video di quel periodo mancavano della scintilla appassionata che un tempo era stata la chiave del mio successo. Cominciava a sembrare che stessi interpretando una versione di me che ormai era superata. Ero entrata nell’età adulta e cercavo di vivere il mio sogno dell’infanzia, solo che per riuscirci, dovevo fingere di essere quella che ormai non ero più.
Il punto è che la cultura online incoraggia i giovani a trasformarsi in un prodotto in un’età in cui stanno iniziando a scoprire chi sono. Quando il pubblico viene coinvolto emotivamente in una versione di te che poi evolve, mantenere il prodotto che hai realizzato in linea con il nuovo te stesso diventa un dilemma impossibile: questo è il motivo perché questo genere di carriera ha breve durata.
La pandemia ha segnato un punto di svolta. Non c’è mai stato un momento preciso in cui ho deciso di lasciare YouTube, ma per un anno non ho postato nulla. Alla fine ho capito che non sarei tornata. A volte riconosco a malapena la persona che ero. Anche se una parte di me si risente del fatto che non potrò mai dimenticarla, le sono anche grata. Il mio canale YouTube, nonostante tutti i guai che mi ha portato, mi ha messo in contatto con persone che volevano ascoltare le mie storie e mi ha preparata a diventare regista. Nell’ultimo anno ho diretto un cortometraggio e sto scrivendo un film, modi di creare che non vanno a scapito della mia privacy.
Ai ragazzi che percorreranno la mia stessa strada, auguro di imparare dalla mia esperienza. Non tutti meritano la vostra vulnerabilità. Usate queste piattaforme per accedere a nuove opportunità, ma non a costo di dare via tutto di voi.
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