“FACCIO CURE PER IL VISO MA NON HO MAI VISTO RISULTATI SPETTACOLARI. A UNA CERTA ETÀ NON DOVREMMO SMETTERLA?” – CINDY CRAWFORD, 58 ANNI, LA PRIMA TOP MODEL A POSARE NUDA PER "PLAYBOY" MA ANCHE LA PRIMA A DIVENTARE IMPRENDITRICE CON UNA LINEA DI COSMETICA, RIVELA: “UNA PARTE DI ME VORREBBE RINUNCIARE A SERVIZI FOTOGRAFICI E RIVISTE PATINATE” – LA COPERTINA PER IL NUMERO DI SETTEMBRE DI "VOGUE", CON TURLINGTON, CAMPBELL E EVANGELISTA, E LE PESANTI CRITICHE PER I RITOCCHI APPLICATI, GIUDICATI SUPERFLUI: “LE MIE SOPRACCIGLIA SONO VENUTE MALISSIMO...”

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Jessica Iredale per https://www.corriere.it/sette/attualita/ - Estratti

 

 

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Quando Cindy Crawford fa il suo ingresso nel salone del Santa Monica Proper Hotel, subito si avverte nell’aria il fremito del suo fascino particolare, quello di una personalità serena, professionale e totalmente a suo agio. Nessun artificio. 

 

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«Preferisco dire, “Ho fatto la modella”, spiega Crawford». «Piuttosto che “Sono una modella”. Per me quel mestiere è un verbo, non un’identità».

 

Esempio di imprenditorialità tra le aspiranti top model, Crawford ha inventato le strategie commerciali oggi copiate dalle nuove generazioni dei professionisti della bellezza, pensiamo a Gigi e Bella Hadid, Hailey Bieber, la stessa figlia di Crawford, Kaia Gerber, e i vari esponenti del clan Kardashian-Jenner: collaborazioni di brand, marchi di proprietà, prodotti, campagne pubblicitarie e accordi trasversali di ogni genere tra le varie piattaforme mediatiche.

 

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«Non ci tenevo a imitare la carriera di qualcuno in particolare», spiega. «Mi sono detta, “Perché no?” e poi, “Proviamola, questa strada!”». “Cindy Inc. non è soltanto una top model da 7 milioni di dollari all’anno”. Ecco lo slogan pubblicitario del profilo apparso su Vanity Fair nel 1994, se vogliamo mettere il dito sull’inedito successo commerciale di Crawford, la modella capace di gestire mercati, fasce di età e prodotti, rivolgendosi ai media più prestigiosi, da Vogue a Playboy, da MTV a Kay Jewelers. All’epoca, Cindy Crawford, ventottenne, esemplare perfetto di una giovane ed eccezionale bellezza, era sposata con Richard Gere (hanno divorziato l’anno dopo).

 

Due tematiche saltano agli occhi nel suo profilo: se Crawford può dirsi appagata e la questione di dove reperire il “motore” in grado di finanziare le sue ambizioni. Si è parlato diffusamente della sua ovvia attrazione fisica, ma si capisce che Cindy possiede anche una marcia in più, vale a dire praticità, mancanza di presunzione e snobismo, un robusto senso dell’umorismo e una sana autoconsapevolezza, che la spingono indubbiamente verso il successo.

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«Da quando è nata sa perfettamente quello che fa», ha commentato in una recente intervista lo stilista di moda Isaac Mizrahi, coetaneo di Crawford. «Questa altro non è che la sua quindicesima incarnazione, non c’è dubbio». Trent’anni dopo, la top model si è rivelata l’artefice della sua carriera, un raro esempio di longevità in un settore tristemente noto per scartare le donne non appena cominciano a trapelare i primi segni della mezza età.

 

Cindy Crawford è stata il volto di un’infinità di marchi, e Pepsi è forse uno dei più celebri. La sua pubblicità al Super Bowl del 1992 è entrata nella leggenda. Da ventinove anni appare sui cartelloni degli orologi Omega. Il suo contratto milionario quindicennale con Revlon si è concluso quando la modella di anni ne aveva trentacinque, ed è a quel punto che ha cominciato a sviluppare la sua linea Meaningful Beauty. È stata la sua impresa maggiore, il primo tentativo di prendere in mano la sua carriera, un accordo al 50 percento con Guthy-Renker, una società di marketing a risposta diretta ai consumatori rinomata per i suoi brand come Proactiv, Jlo Beauty, IT Cosmetics e Tony Robbins Personal Power.

 

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Ma ben presto si sono rimessi al lavoro, cambiando tattica per ribadire il rapporto con il dottor Sebagh e filmando gli spot pubblicitari con Crawford che si rivolgeva a una collega, anziché al pubblico televisivo. Il marchio ha decollato e non ha più avuto bisogno degli infomercial né della partecipazione diretta della top model. «Non volevo nemmeno il mio nome sul marchio», racconta lei. «Mi auguravo che potesse svilupparsi al di là della mia persona».

 

Non ha voluto identificarsi con il mondo esclusivo della moda. Lungo tutta una carriera mai segnata dagli scandali, tra le sue iniziative più controverse ricordiamo l’apparizione su Playboy nel 1988, in immagini eleganti e raffinate confezionate dal fotografo di alta moda Herb Ritts. Già notevolmente matura a ventidue anni, con la sua presenza su Playboy Crawford si proponeva di conquistare anche il pubblico potenziale dei maschi eterosessuali, da sommare a quello femminile, le naturali ammiratrici della moda del lusso. Aveva percepito le finalità ben più estese in quell’opportunità, un approccio oculato che ha ispirato le sue principali decisioni imprenditoriali.

 

Cresciuta in una famiglia operaia a DeKalb, nell’Illinois, Cindy non ha mai dimenticato le sue origini, nemmeno all’apice del successo raggiunto negli anni Novanta, quando ha partecipato al video Freedom! ‘90 di George Michael ed è entrata a far parte della cerchia intima di Gianni Versace.

 

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«Ti ritrovi in una villa sfarzosa a Capri e ti dici, “Caspita, ma io vengo da DeKalb in Illinois!”» racconta. «Come ho fatto a finire in questo posto, e che cosa devo mettermi?».

 

Agli esordi della carriera, la madre andò a trovarla a New York e si fece prestare qualcosa da indossare, un abitino assai semplice di Donna Karan. «E mia madre, “Oh mio dio, che amore di vestito! Ne comprerò uno proprio uguale”». Ma costava 800 dollari, spiega, più di quanto la madre poteva permettersi di spendere per l’abbigliamento in un anno intero. A quel punto Cindy glielo regalò. «Mia mamma sapeva riconoscere la vera qualità. E in quel momento mi è balenata questa idea incentrata sull’accessibilità e la conoscenza».

 

Isaac Mizrahi ricorda un servizio fotografico con lei a Big Sur, in California, negli anni Novanta. «Tutti gli operatori erano convinti che non fosse molto sveglia, ma io la conoscevo da una vita e pensavo, “Ma che vanno dicendo? Aspettate che apra bocca”».

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Sul finire degli anni Ottanta, prima che i termini “top” e “model” si unissero a creare la nuova definizione di un certo gruppo di modelle che comprendeva, oltre a lei, anche Christy Turlington, Naomi Campbell, Linda Evangelista e poche altre, Crawford era già conosciuta come la ragazza di una cittadina di provincia che si era distinta nelle scuole superiori per poi iscriversi all’università Northwestern grazie a una borsa di studio, ma aveva successivamente abbandonato il percorso universitario per diventare modella.

 

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È stata capace di infrangere il quarto muro: farsi sentire, oltre che vedere, il vero anatema nel mondo delle modelle. In veste di conduttrice inaugurale di House of Style della MTV, il popolarissimo notiziario di moda diffuso nel 1989 che si proponeva di svelare i segreti celati dietro le quinte di quell’universo, lei non aveva nessuna esperienza di come gestire la sua presenza in uno studio televisivo eppure ha saputo affrontare le riprese con la massima disinvoltura.

 

Christy Turlington ricorda ancora che quando Crawford ebbe concluso la sua partecipazione a House of Style, Linda Evangelista si sottopose al provino per sostituirla. «Linda si presentò con un’aria saccente, come a dire, “Sono una modella di alta moda, vi svelerò quello che succede davvero in quel mondo”. Era del tutto sprovvista della leggerezza e vivacità indispensabili».

 

Lo scorso anno, Cindy Crawford, Christy Turlington, Linda Evangelista e Naomi Campbell sono state filmate insieme, per la prima volta dopo tanti anni, per la serie The Super Models di Apple TV+. Un viaggio nei ricordi in quattro puntate, attraverso gli anni più inebrianti delle top model, per raccontare i loro alti e bassi, i mancati riconoscimenti, l’avanzare dell’età. Naomi e Cindy si sono fatte promotrici della riunione delle quattro celebri modelle per la serie televisiva, che è stata girata nell’arco di ben otto anni.

 

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«Siamo tutti fissati con gli Anni Novanta», dice Crawford. «Ci siamo dette, c’è qualcuno che vuole fare questo documentario, ebbene facciamo sentire la nostra voce». Tutte e quattro hanno ricevuto il riconoscimento per la produzione esecutiva, ma nessuna per il montaggio.

 

Ad ogni modo, l’imprenditrice si è dichiarata abbastanza soddisfatta del risultato finale. La sua prima apparizione sullo schermo la ritrae mentre si appresta a posare per uno scatto che riceverà la massima offerta a un’asta di beneficienza. «Penso proprio che il ritratto che ne è venuto fuori corrisponda alla realtà», ha affermato.

 

Tuttavia, sulla copertina realizzata da Rafael Pavarotti per il numero di settembre di Vogue, con Crawford, Turlington, Campbell e Evangelista, sono piovute pesanti critiche per i ritocchi applicati, giudicati superflui.

 

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«Se penso che sia la mia migliore copertina di Vogue fino ad oggi? No, ma noi non abbiamo voce in capitolo per quel che riguarda le alterazioni richieste da Vogue. Non ci chiedono nemmeno l’approvazione finale dell’immagine. Le mie sopracciglia sono venute malissimo, per il modo in cui le hanno esagerate. D’altronde, nessuno ha chiesto il mio parere».

 

Dopo una lunghissima carriera di successo basata sulla sua bellezza, Crawford si è abituata allo scrutinio spietato a cui è sottoposto il suo aspetto fisico. «Ma non sono mai stata tentata di alterare il mio viso», dice.

 

Certamente, ci sono le cure di mantenimento. Ha fatto il botox, pur riducendo la dose con l’avanzare degli anni, perché vuole che la fronte corrisponda al resto del viso. Radiofrequenze, microneedling, sauna a infrarossi, bagni ghiacciati, maschera a luce rossa. Si sottopone al dry brushing e al linfodrenaggio ogni mattina, trattamenti seguiti da una seduta di gua sha con l’olio della sua linea Meaningful Beauty.

 

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«Faccio queste cure assiduamente ma in fin dei conti, non ho mai visto risultati spettacolari. Ho 58 anni, una parte di me vorrebbe rinunciare del tutto a servizi fotografici e riviste patinate. Se vai a leggere i commenti, troverai tante meschinerie. Ma, tutto sommato, queste critiche non sono peggiori di quelle che mi rivolgevo da sola. Allo stesso tempo, mi chiedo talvolta se non è il caso di lanciare questo messaggio alle donne, cioè che è meglio smettere a una certa età?».

 

 

Traduzione di Rita Baldassarre

©New York Times

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