Andrea Silenzi per "la Repubblica" - Estratti
Negli anni Novanta un successo travolgente insieme alla sorella Chiara, poi il declino, la dolorosa separazione dalla sorella, un gelo durato dieci anni. La carriera da dj, la vita da artista indie e poi il ritorno. Paola Iezzi è nel pieno della sua seconda vita da star. Adesso, dopo i nuovi successi con Chiara e la biografia Sisters (Rizzoli), è giudice di X Factor. E ha sorpreso un po’ tutti con la sua cultura musicale.
Diciamo la verità: nessuno si aspettava questa sua competenza così approfondita.
«Essere underrated e creare sorpresa mi piace. Spesso si giudica l’apparenza, è normale anche se non è corretto. È il pregiudizio di cui siamo vittime un po’ tutti. Ma è un aspetto che persiste nella mia vita».
C’è grande sintonia con gli altri giudici, almeno finora. È difficile tenere a bada il testosterone che circola in quel tavolo?
«Sono stata molto fortunata perché potevo capitare in edizioni diverse. È una giuria speciale. Conoscevo tutti, ma si è creata un’alchimia un po’ magica: ho avuto la fortuna di incontrare persone che ascoltano. In generale, l’ambiente musicale è popolato da tanti maschi testosteronici: sono abituata, e poi tratto uomini e donne allo stesso modo. Cerco sempre di pensare all’umanità, siamo una comunità di persone che cercano di fare bene».
Come mai conosce lo svedese?
«Durante la seconda ondata del covid ho ricevuto una mail da un agente che lavorava per un’agenzia inglese e svedese. Avevo collaborato anni prima con il produttore di Kylie Minogue, che faceva parte del suo team. Mi ha proposto di andare a Stoccolma per lavorare con lui e altri produttori locali.
Qui era tutto fermo causa covid, sono andata a spese mie, ero agitata. Mi sono sentita subito a casa, scrivevo una canzone al giorno. Alla fine sono rimasta nove mesi e mezzo, ho scritto 50 pezzi. Ho rimesso a posto delle cose, ho ripensato alla separazione da Chiara, le persone che lavoravano con me mi elogiavano come mai era successo in Italia. Ho imparato la lingua, una cultura, per me è una seconda casa».
Achille Lauro ha detto che i ragazzi devono imparare ad accettare il fallimento. Un po’ quello che è successo a lei e Chiara dopo il secondo Sanremo.
«Il successo, soprattutto se arriva quando sei giovane, è un po’ una dopamina (...) Ho paura del successo, lo prendo con le pinze perché amo la sobrietà, anche quando ricevo complimenti. Oggi tutti vogliono stare sul palco, e questo è uno dei problemi della scena attuale».
Nella vostra recente biografia “Sisters” emerge una storia umana prima ancora che professionale. Secondo lei il salto nella giostra del successo è arrivato troppo presto?
«Non eravamo alla ricerca del successo, amavamo la musica, volevamo farla.
(...) Ci sono voluti anni per seppellire i sensi di colpa, la rabbia, ma l’unica via per crescere era il distacco. Recitare una parte non sarebbe stato bello per nessuno».
Per fortuna ci ha pensato nonna...
«Ha insistito per riunirci per un pranzo di Natale. Pochi minuti ed è ripartito tutto».
Cosa vorrebbe trasmettere ai ragazzi del programma?
«Che il successo non è il solo obiettivo da perseguire. Tutti vogliono la fama, ma bisogna accettare di essere giudicati, sapendo che i giudici non sono infallibili. X Factor non è l’unica possibilità, noi non siamo gli stronzi che fermano una carriera. Cerchiamo umilmente persone da collocare all’interno di uno show».
Da poco è uscito il singolo “Il linguaggio del corpo” inciso con BigMama.
«Ci siamo incontrate al Gay Pride, lei ci ha rincorso per farci fare una foto con sua mamma, erano tutte e due nostre fan. L’idea del disco è nata da lì».
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