“A FANTASTICO DEL 1990 TRA GLI OSPITI C'ERA ANCHE ALBERTO SORDI CHE MI NEGÒ UN AUTOGRAFO...” - LE MEMORIE DI RAUL CREMONA: “DECISI DI RIFARMI CON JERRY LEWIS, IL CUI CAMERINO ERA ACCANTO AL MIO. ASPETTAI CHE USCISSE PER SORPRENDERLO CON UN GIOCO DI PRESTIGIO E LUI NE FECE UN ALTRO A ME - OGGI IL VARIETÀ È MORTO, C'E' LA TV DEL PREZZEMOLISMO: PER TENERTI A GALLA TI FA FARE UN PO' DI TUTTO INFATTI HO DETTO NO A TUTTI I REALITY. OGGI C'E' UN DESIDERIO NECROFORO DI SMONTARE OGNI VOLTA CHE SI PUÒ L'ARTISTA"

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Paola Pellai per “Libero quotidiano”

 

mago oronzo raul cremona mago oronzo raul cremona

Una volta Raul Cremona disse: «Quando i giochi non riescono sono un comico, quando le battute non fanno ridere sono un mago». La verità è che i suoi giochi e le sue battute ci accompagnano dal secolo scorso e continuano a guardare al futuro con stupore e creatività. Milanese doc, Raul ha appreso l'arte di conquistare la gente dal papà e dal nonno, imbonitori sulle piazze della città.

 

In mezzo a tante apparizioni in tv e in attesa di vederlo protagonista al Masters of Magic World Tour nel maggio 2023 a Torino, Cremona sta lavorando al suo prossimo spettacolo teatrale, Il mago de Milan. «Il titolo - ci racconta - è nato per strada. Stavo passeggiando quando una signora dice al suo bimbo: "Tel chì el mago de Milan". Detto, fatto».

 

Anche lei ha iniziato da bambino con la classica scatola dei giochi magici?

«Certo, me la regalò nel 1967 per Natale nonna Giuditta. Era una scatola tutta nera, con un cilindro e delle carte riprodotte sulla confezione. Prodotta dall'Arco Falc, non aveva un nome ma tre versioni contraddistinte da un numero. Potevi scegliere la scatola 1, la 2 o la 3, come le buste di Mike Bongiorno. Mi sono subito innamorato del suo contenuto e ho iniziato a fare magie ai miei amici».

 

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Da bambino sognava di fare il mago?

«Da piccolo ho diviso le mie passioni tra ping pong, calcio e illusionismo. Ho persino tentato una baby carriera da portiere, giocando in squadre locali, fino agli juniores. Ma ho abbandonato perché non avevo il fisico per fare il calciatore professionista e la concorrenza non mi avrebbe permesso di sfondare. A 17 anni entrai nel Clam, il circolo di arte magica di Milano, di cui sono ancora presidente, e iniziai a frequentare i congressi nazionali, capendo che la mia passione poteva diventare il mio avvenire».

 

Lei è stato il pioniere del cabaret magico...

«Ho messo a segno una mutazione genetica. Ho dimostrato che un mago può essere anche un attore comico meglio di chi lo fa per professione. Ho portato un nuovo linguaggio e un nuovo atteggiamento. Ho tolto i luccichini all'abito e ho smesso di far parlare i maghi in maniera laccata. Ho eliminato la distanza tra me e il pubblico, ho invaso il suo territorio. Ci sono entrato con spontaneità ed ironia. Non ho fatto altro che usare i vecchi giochi di prestigio, come gli anelli cinesi o i fazzoletti che cambiano colore, con un approccio diverso».

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Anche ai maghi possono capitare magie: a lei successe a Fantastico nel 1990...

«Incontrai il mio idolo Jerry Lewis mentre lavoravo nel varietà condotto da Raffaella Carrà. Da piccolo andavo nel cinema di terza visione vicino a casa a divorarmi i film con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, Totò e Jerry Lewis. Jerry era speciale, mi colpiva per la capacità con cui si muoveva dinoccolato e così bello che Marilyn Monroe lo inserì tra i 10 uomini più sexy al mondo.

 

Lui spaccava la regola di chi identificava l'attore comico in una sorta di guitto. A lui mi ero ispirato per uno dei miei personaggi, Jerry Manipolini, ad inizio carriera. Ricordo la mia emozione quel giorno. Tra gli ospiti c'era anche Alberto Sordi che mi negò un autografo. Decisi di rifarmi con Jerry, il cui camerino era accanto al mio.

Aspettai che uscisse per sorprenderlo con un gioco di prestigio e lui ne fece un altro a me. Poi Raffaella, a sorpresa, mi fece il grande regalo di presentarmi a lui in diretta: ci avvolgemmo in un abbraccio indimenticabile. Lo sa?».

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Mi dica.

«In questo mestiere, al di là della carriera, del successo e dei soldi, quello che più ti resta dentro sono i ricordi. Nel mio cuore c'è un posto speciale per l'adorabile Raffaella, il geniale Jerry, l'affetto di Ric e Gian, l'emozione di Johnny Dorelli quando cantavo le sue canzoni...».

 

Ha lasciato il segno in trasmissioni storiche come Zelig e Mai dire gol. Perché è così difficile fare buona televisione?

«Perché il Varietà con la V maiuscola è praticamente morto. Oggi ci sono 6 mila canali televisivi ed altrettanti palinsesti da riempire. Non c'è più il tempo né la voglia di creare varietà di qualità, la programmazione è diventata molto più invasiva e con un desiderio necroforo di smontare ogni volta che si può l'artista: smette di essere il mago, l'attore o il cantante per prestarsi al gioco richiesto, dandosi in pasto a scherzi o a reality capaci di resuscitare stelle cadenti. È la tv del prezzolismo, quella che per tenerti a galla ti fa fare un po' di tutto. Alla larga da me».

 

Quanti "no" ha detto?

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«Praticamente a tutti i reality. A 20 anni chiesi al più grande giocoliere al mondo un consiglio e lui mi disse: "Ricordati che quello che fai all'inizio è quello che farai quando sarai grande". Quindi è inutile che mi contattiate con proposte strane, io voglio fare solo il mago. Il mago e basta. Ecco perché mi sono trovato benissimo a Only Fun-Comico Show, sul Nove, condotto da Elettra Lamborghini e i PanPers. Ho fatto esclusivamente il mago divertente, con piena libertà di azione e ideazione».

 

Lei ha il volto da angioletto ma al cinema le assegnano sempre ruoli da carogna.

«Forse perché non corrispondo al classico cliché del comico sgraziato, grasso e brutto. E così licenzio Checco Zalone in Cado dalle nubi, urlo "Che tu possa vivere tutti gli anni che dimostri" ad Angela Finocchiaro in Ci vuole un gran fisico, picchio Valerio Mastandrea ne La sedia della felicità di Carlo Mazzacurati e in Area Paradiso di Diego Abatantuono porto a mangiare fino a farli scoppiare un gruppo di anziani...».

 

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A quale dei suoi personaggi è più legato?

«Il mago Oronzo che nel 1997 grazie a Mai dire gol mi ha fatto compiere il grande salto in fatto di popolarità. Un mago dissacrante con la canottiera sporca. Ma la verità è che il grande amore per quello che faccio non mi fa mai accontentare. Io sono la non voglia di fare sempre le stesse cose. Non mi fermo mai. È stato così anche agli inizi. Negli storici locali milanesi facevo ogni genere di mago: quello gay, l'imbranato, il cafone...».

 

Raul Cremona (66 anni) si avvicina all'illusionismo grazie al "Clam", un circolo d'arte magica di cui oggi è presidente. Dopo una lunga gavetta come prestigiatore e dopo aver vinto vari premi e riconoscimenti, approda al cabaret nella Milano del Derby degli anni '80. La grande fama arriva grazie a "Mai dire gol" e "Zelig".

 

Sposato, ha due figli: Giordano Cremona, in arte Kremont, dj producer membro del duo Merk & Kremont, e Leonardo, baritono Quale magia le ha cambiato la vita?

 «Incontrare mia moglie che mi ha dato 2 figli straordinari: è la più grande magia che un uomo può mettere a segno. I miei figli non lo ammetteranno mai ma entrambi sono stati contagiati dal mio spirito artistico. Giordano, in arte Kremont (del duo Merk&Kremont, ndr) è un produttore di successo: Rovazzi, Benji e Fede, Sangiovanni, ora Mahmood... Invece Leonardo è un baritono con due lauree da 110 e lode, un diploma al conservatorio e un amore viscerale per Giuseppe Verdi».

 

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Della sua vita privata si sa poco. Mai un gossip, uno scandalo.

«Sono sempre stato un po' timido ed introspettivo. Non mi interessa sollevare clamore o pettegolezzi. Le mie magie devono fare notizia, del resto non me ne frega nulla. Il tempo non lo butto via, ho già troppe cose a cui pensare. Per esempio il pianoforte...».

 

Silvano, il mago di Milano, utilizza la parola magica Sim Sala Min.... Ogni riferimento al sindaco Sala è puramente casuale? (Risata stratosferica, ndr)

«Sì, è casuale. Non ci avevo mai pensato e una volta sono pure salito sul palco con il sindaco. Avrà pensato che lo prendessi in giro. È una variante della più famosa Sim Sala Bim e si rifà al modo di dire tipicamente milanese di dare del salamino al bambino che aveva commesso un errore o una marachella. Silvan mi ha fatto notare che molto prima di me l'espressione l'utilizzava già Jacovitti nei suoi fumetti».

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