Andrea Laffranchi per il "Corriere della Sera"
caterina caselli franco battiato
Il momento in cui nasce Franco Battiato. Caterina Caselli lo ha vissuto. Sino ad allora era Francesco Battiato, così diceva l' anagrafe di Ionia. A suggerire il cambio di nome fu Giorgio Gaber. Lo aveva conosciuto come chitarrista del gruppo della moglie Ombretta Colli e gli aveva procurato un primo contratto serio con la Jolly. Così era arrivata la prima grande occasione, la televisione. Un invito a «Diamoci del tu», programma della Rai per, allora si diceva così, i giovani, condotto dalla coppia Caselli-Gaber.
Era il Primo maggio 1967.Gaber, scherzando, gli disse di farsi chiamare Franco per non creare confusione con l' altro ospite, Francesco Guccini...
«Verso la fine della serie chiesi di invitare in una puntata Guccini, un esordiente interessante che scriveva canzoni sulla scia di Bob Dylan. E Gaber fece lo stesso con Battiato. Arrivò questo ragazzo, nascosto dietro capelli e barba lunghi. Nonostante gli occhiali scuri risaltavano due occhi scuri e un carattere sicuro di sé».
Cantò «La torre», pezzo beat (diverso da quello dell' 82) in cui si scaldava contro gli ipocriti e la società.
«Sapeva essere sarcastico e aveva una personalità spiccata. Si capiva già allora. Non abbiamo mai lavorato insieme, ma nonostante l' assenza di un rapporto professionale eravamo amici».
Tolta la musica, cosa le rimane?
«C' era empatia, che lui attribuiva al fatto che fossimo entrambi del segno dell' ariete. Mi ricordo pranzi e tè meravigliosi in sua compagnia: parlare con Franco ti apriva dei mondi.
Aveva un modo tutto suo di vivere la vita, una spiritualità profonda, abbinata, ed è cosa non comune, a un' ironia singolare. Ci sentivamo spesso al telefono e lui cominciava sempre salutandomi con un "Caterina oh oh oh oh", come la famosa canzone di Perry Como. Mi mancherà sentire la sua voce. Spero che le sue canzoni e le sue opere riescano a tenermi compagnia e mi aiutino a riempire il vuoto lasciato dalla sua assenza».
La sua canzone preferita?
«"La cura" è un capolavoro assoluto, per qualità compositiva e anche per quella capacità singolare e personale che Franco aveva di portare la spiritualità in un testo».
Come percepiva il lato spirituale dell' amico?
«C' è stato un periodo in cui a Milano facevamo degli incontri con monsieur Henri Thomasson, un francese seguace di Gurdjeff (il mistico armeno di cui a cavallo fra anni 80 e 90 Battiato pubblicò i testi con la casa editrice L' Ottava ndr ) per leggere e commentare insieme le opere e fare meditazione. C' era Franco, c' erano anche Alice e Franco Messina. Non durò a lungo per me, ma anche per lui che in seguito mi confessò di aver trovato altre strade di meditazione, ma fu importante».
Siete rimasti legati per anni, ma non avete mai lavorato insieme. Come mai?
«Non abbiamo mai trovato il momento giusto. Però, ai tempi della CGD, noi avevamo in cast Giuni Russo con cui lui collaborava da tempo. Per lei scrisse, tra le altre, "Un' estate al mare", una canzone che è diventata il tormentone di quell' estate, ma che aveva qualcosa di nobile a differenza degli altri brani di quel genere. E poi lavorò, sempre con Giuni Russo, a quel capolavoro di "Vox".
Più di recente non si è concretizzata una collaborazione con Bocelli. Gli chiesi un brano sul tema "migranti" ma poi cambiammo il concept del disco di Andrea e non venne incluso. Quella canzone è uscita due anni fa come la sua ultima inedita. Risentire il provino con la sua voce sublime mi emoziona».
Gli ultimi anni sono segnati dalla sofferenza e dalla malattia. Lo sentiva?
«Non lo vedevo da un concerto a Milano del 2016. Sentivo il fratello Michele per avere aggiornamenti sulle sue condizioni di salute. Avevo anche pensato di andare a trovarlo, ma la pandemia mi ha frenata».
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