Giovanna Cavalli per il “Corriere della Sera” - Estratti
«Appena svegli mi diceva: “Stamattina sei bellissima” e magari ero un orrore, scarmigliata, con gli occhi gonfi. Oppure, quando mi truccavo: “Non metterti niente, stai meglio così, sei stupenda, non ne hai bisogno”. Cosa vuole, fingevo di credergli. Il mio Pippi era molto affettuoso, non sdolcinato. Stavamo bene insieme, è stato così da subito, ci siamo amati con allegria.
Gli raccontavo delle storie e lui rideva, rideva, diceva che nessuno al mondo lo divertiva come me. Ed io lo vedevo contento e questo mi dava tanta carica». Ora Fausto Pinna non c’è più, scomparso l’8 agosto dopo una lunga malattia. Aveva 74 anni e per quasi quaranta è stato il compagno di vita di Iva Zanicchi.
Inseparabili .
«Non ci siamo mai lasciati neppure un giorno, veniva con me ovunque, lo volevo sempre accanto. Da quando si era aggravato ho cancellato ogni impegno per stargli vicino. Aveva un’infermiera bravissima che lo accudiva, però la notte voleva soltanto me e nemmeno io del resto me la sentivo di staccarmi da lui».
Vi siete detti tanto, tutto.
«Ormai mi ripeteva sempre la stessa domanda, come un ritornello: “Ma tu mi ami ancora?”. “Certo che ti amo”, lo rassicuravo e gli davo un sacco di bacini. Ha sofferto tanto. L’estate scorsa, per tirare su delle valigione, si è inchiodato lì. Dopo quattro anni di chemio gli è collassata una vertebra, non ha più camminato. Era un omone di 105 chili, si è ridotto a meno di cinquanta. È morto con me, a casa, io e lui da soli».
Gli ultimi mesi.
«Passava le giornate a letto, però si alzava per fare colazione con me, anche se gli costava uno sforzo tremendo, ci teneva. Poi tornava a sdraiarsi. Non voleva più ascoltare le cattive notizie, così abbiamo scoperto un canale che trasmetteva La casa nella prateria e guardavamo solo quello. Fausto si rasserenava perché lì, anche se succedono cose brutte, il bene alla fine vince».
Gli ultimi momenti.
«Era lucido quando mi ha chiesto di nuovo: “Mi ami ancora?”. “Anche di più, sennò mica starei qui, no? Ti voglio tanto bene, Pippi. Vedrai che adesso starai meglio e a settembre ce ne andiamo in Sardegna”. Gli piaceva tanto».
Non è stato così.
«Andava avanti a morfina, per i dolori. Ogni tanto cedeva: “Prega che io me ne vada”.
“No, tu non vai da nessuna parte, resti con me”, ripetevo e gli prendevo le mani. Non voleva andare, ma alla fine mi ha sussurrato: “Sono stanco”.
E poi era curioso di vedere cosa c’è di là. Io no».
(...)
Giorni fa ha ricantato in pubblico per la prima volta.
«Vicino a Pescara. Lo spettacolo più orribile della mia vita, è stata durissima, ma il concerto lo aveva organizzato un caro amico, non volevo deluderlo. Non ho mica cantato tanto bene, però la gente ha capito, le persone mi hanno dimostrato un affetto commovente. Certe canzoni però non sono riuscita a cantarle».
Quali?
«La notte dell’addio e Un uomo senza tempo. Erano le preferite di Fausto. Ogni volta che le facevo lui piangeva, povero. In prima fila, si asciugava gli occhi col fazzoletto».
Come vi siete conosciuti?
«In sala di incisione, nel 1984, lui faceva il discografico. Era allegro, positivo, pieno di vita. Creativo, aveva grandi idee. Fu il primo a vendere in edicola le cassette dei film. Inventò l’antifurto per auto, ne parlò pure con la Fiat. C’era un difetto. Qualche mese dopo lo brevettarono senza di lui».
Un simpatico guascone .
«Esagerato. “Prendo un jet privato e ti porto al mare”. Mi riempiva di complimenti, forse era un po’ bugiardo. Prima di conoscermi, mi vide una sera al casinò di Sanremo, durante un Festival. Raccontava che quando sono entrata io la sala ha smesso di giocare e tutti si sono voltati ad ammirarmi, ma figurati se è vero. Lui invece rimase folgorato».
Spericolato .
«Per impressionarmi, diceva di essere bravissimo a sciare e si buttava giù dalle piste nere, ma non sapeva curvare, che tonfi. In Argentina sostenne di essere andato a cavallo fin da bambino. Così montò in sella a uno stallone che galoppò di colpo dentro a un box con il tetto basso, se non si fosse buttato in tempo lo avrebbe decapitato. Quanto ci abbiamo riso, dopo.
In Spagna, a casa del torero El Cordobès, voleva entrare nell’arena e sfidare il toro con uno straccio, gliel’ho impedito. Per farmi contenta venne in tv a ballare il Tuca Tuca: sbatteva la testa come la Carrà, solo che era pelato. Buffissimo, però abbiamo vinto la gara».
Maledette sigarette.
«Ne fumava 90 al giorno, a volte ne accendeva tre insieme. La sua auto era una ciminiera. Mi venne la tosse. Il dottore mi rimproverò: “Signora, ma con il suo lavoro lei fuma?”. “Non sono io”. “Così si rovina”. Da allora lo faceva soltanto fuori casa. Ha smesso 12 anni fa, ma era tardi, il tumore è partito da lì, aveva i polmoni pieni di catrame».
Non vi siete mai sposati .
«Mia figlia Michela aveva solo 18 anni. Abbiamo rimandato, di recente ci abbiamo pensato. Lui divorziato, io separata e poi vedova, avrei voluto mettermi l’abito bianco.
So che Dio perdona, quando l’amore è vero e bello».
L’uno la spalla dell’altra .
«Gli chiedevo consiglio, anche se poi spesso facevo di testa mia. Mi sgridava: “Non ascolti musica, non studi, non ti alleni con i gorgheggi”».
Ora che cosa farà?
«In autunno riprendo a lavorare, così avrebbe voluto Fausto, era orgoglioso di me.
Finché c’è la voce, canto. Ho ancora qui i suoi vestiti, le cravatte, le ciabatte, il pigiama. E il Rolex che gli avevo regalato, lo porto giorno e notte».
Vi rincontrerete?
«Voglio sperarlo. Aspettami, Pippi».