Elvira Serra per corriere.it - Estratti
Alice o Carla?
«Facciamo il nome di battesimo: sono nata Carla Bissi. Ma ho altri due nomi, che tengo per me».
Cosa farà il 26 settembre?
«Probabilmente festeggerò, mio malgrado. È un compleanno importante».
Per certo, la cantautrice che trionfò a Sanremo nel 1981 con Per Elisa, per i 70 anni si è regalata un’autobiografia, L’unica via d’uscita è dentro, scritta per Rizzoli Lizard con Francesco Messina, da 40 anni compagno di vita e nelle arti. Però precisa: «È stato casuale. Era una cosa che mi chiedevano da tempo, alla fine Francesco mi ha convinta e ho ceduto». Non ama le interviste, e questa non fa eccezione. Ma resiste con una certa rassegnazione per un’ora e mezzo, non disposta, comunque, a rispondere a tutto. Del resto, nella vita non sempre ha saputo cosa voleva, ma ha sempre saputo cosa non voleva.
La leggenda narra che cantò la prima volta a 15 mesi davanti a un presepe in chiesa.
«Sono nata con una spiccata predisposizione musicale. Davanti al presepe mia madre mi spronò e cantai le canzoni che conoscevo: Tu scendi dalle stelle e un’altra. Quel momento è stampato dentro di me, va oltre la memoria».
A 8 anni aveva un’estensione musicale di tre ottave. Ora?
«Da molto tempo non la utilizzo più tutta. La voce è diventata più corposa e più grave, l’estensione che prima avevo nelle note alte ora ce l’ho in quelle basse. Mi ha aiutato a usare colori diversi per esprimere quello che desideravo e che le canzoni richiedevano».
A 12 anni quasi finì sotto un treno a un passaggio a livello.
«Non so chi fu a spingermi, dietro di me. Lo choc fu tale che faticai anche a tornare a casa. Per un anno e mezzo non cantai più, avevo difficoltà perfino a parlare, non riuscivo a gestire il tono della voce. Mi aiutò una cantante lirica: a furia di vocalizzi e suoni strazianti ho ricostruito la voce nota per nota».
Pentita di aver ceduto «Sono una donna non sono una santa» a Rosanna Fratello?
«Ma certo che no».
Almeno l’ha ringraziata?
«Ma lei non lo sa! I miei discografici l’avevano proposta a me e io feci il suo nome».
Non si pentì nemmeno di aver detto di no al presidente della Capitol Music che le aveva proposto un tour mondiale di tre anni per rilanciare «Per Elisa» in inglese e spagnolo?
«In questi giorni ho pensato a come sarebbe stata la mia vita se avessi detto di sì. Avrei fatto gli stessi incontri, avuto la stessa possibilità di fare un percorso di ricerca spirituale? No, sarebbe stata tutta un’altra cosa. Non posso sapere quale, ma non mi interessa più di tanto. È chiaro che una scelta così implichi una rinuncia. Ma ho rinunciato a qualcosa che per me non era prioritaria e non lo è mai stata».
La sua canzone più nota?
«Non ho mai guardato numeri e rendiconti. Seppi, per esempio, che Gioielli rubati era diventato disco d’oro trovandolo appeso alla Emi. Nessuno mi aveva avvisato».
Agli inizi subì una molestia da un dirigente della Cbs.
«Non utilizziamo la parola molestia, mi sembra eccessiva. Chiaramente fece allusioni evidenti che mi disturbarono. Ma presi le misure. La vita è anche questa: o subisci passivamente e ti adegui, oppure no. Va bene tutto, non dico che il mio percorso sia quello giusto. Ma abbiamo la necessità di essere attivi nei confronti della vita. Per me cantare e fare musica aveva a che fare con valori e tematiche esistenziali; il mondo discografico faceva altre valutazioni più commerciali».
A chi sente di dire grazie?
«Non c’è solo una persona, ma tante, a partire dai miei genitori e da chi li ha indirizzati a farmi studiare musica. Poi ci sono persone alle quali sono profondamente legata: una è Franco Battiato, l’altra Francesco Messina».
Senza il produttore Angelo Carrara non avrebbe conosciuto né l’uno né l’altro.
«Sì, è vero. Lui è stato lo strumento, e soprattutto mi ha aiutato in un percorso di crescita e di autonomia».
La prima volta che incontrò Battiato?
«Nel 1979. Era seduto su un divano con il cappotto nero e un colbacco di astrakan, portava gli occhiali scuri. Gli dissi il necessario: desideravo un suo giudizio, se aveva senso che continuassi o no. Gli lasciai una cassettina che avevo registrato, disse che ci saremmo visti dopo una settimana. Quel giorno mi comunicò: “Tra un anno faremo un disco insieme”. Così fu».
Com’era Battiato?
«Un vulcano di energie, un magnete straordinario, aveva senso dell’umorismo e profondità, intelligenza, gioia di vivere, ma anche questo senso di fanciullezza. Era molto serio, ma non serioso. E amava i dolci: prendeva lo zucchero con il caffè, non il contrario; poi passò al tè, stessa cosa».
Quando lo ha incontrato l’ultima volta?
«Nel 2020. Era già molto in difficoltà, parlava poco. Però esprimeva la sua pienezza in un modo straordinario. Siamo stati insieme in silenzio. C’è una canzone di Françoise Hardy che ho cantato in italiano con il testo tradotto da Franco, Tante belle cose. Contiene una frase potente: l’amore è più forte della morte».
Qual è la cosa più coraggiosa che ha fatto?
«Forse aver deciso di aprire la mia etichetta musicale e di produrre autonomamente: si chiama Arecibo».
Dove si è emozionata di più a cantare?
«Ci sono vari tipi di emozioni: la più intensa, la più elevata, l’ho provata nei luoghi sacri. Mentre l’emozione legata a un piano più orizzontale della vita è quanto ho vinto Sanremo nell’81 e ho dovuto ricantare sul palco dopo l’annuncio della vittoria».
A quale canzone è più affezionata?
«A Dammi la mano amore, scritta dopo essere stata nei Balcani per portare aiuti con l’associazione Ministerium Salutis. Mi ha colpito che negli occhi dei bambini la gioia non si fosse spenta, nonostante la devastazione».
A Medjugorje c’erano già le apparizioni?
«Sì, e ho avuto il privilegio di assistere a una. Posso dire che nonostante si sentissero le cannonate e ci fosse il coprifuoco, si respirava una pace di un’altra dimensione».
Il cinema non è riuscito a tentarla: le proponevano cose tipo «La liceale».
«Non era il mio. Ho fatto un provino con un regista molto importante, perché non potevo evitarlo. E ho fatto in modo di non avere la parte».
Negli ultimi 4 anni ha dedicato i suoi concerti a Battiato.
«Ho cercato di essere strumento di ciò che ci ha lasciato. Adesso mi sono ricollegata al mio percorso personale con “Master Songs”: a gennaio verremo anche a Milano».
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Com’è nata la sua ricerca spirituale?
«Mi sono posta delle domande molto giovane. Poi è stato fondamentale un libro: Incontri con uomini straordinari, di Gurdjieff. Da lì è iniziata la ricerca di qualcuno in Italia che trasmettesse i suoi insegnamenti e ho conosciuto Henri Thomasson, senza sapere che Franco e Francesco lo seguivano già».
Chi le piace dei cantanti di oggi?
«Non saprei proprio rispondere».