Valerio Cappelli per il “Corriere della Sera” - Estratti
«Avevo 23 anni, ed ero una bella ragazza; lui ne aveva 40». Dalila Di Lazzaro e Alain Delon. Cronaca di un love affair tra due persone di una bellezza sfacciata.
Il vostro primo incontro?
«A Montecarlo. Mi avevano invitato e arrivai al Gp di Formula 1 nella Cadillac di una ricca pazza con un gruppo di amiche
(...) lui mi guardò e mi mandò un bacio. Per me era un mito. Bello come il sole. Finì lì. Mesi dopo girava Zorro a Roma, alla Dear. Sperando di rincontrarlo lo vidi al bar. Ero di nuovo con amiche. Dandomi del lei mi disse in italiano, “verrebbe un attimo nel mio camerino?”. Non ricordava di avermi già vista. Lo richiamarono sul set. Chiesi dove fosse il suo camerino e un tipo della produzione mi prese a male parole: volete tutte Delon... Dal nulla sbucò lui, mi fece cenno di seguirlo».
Cosa accadde?
«Si mise a parlare di cavalli con un amico, poi disse che ero troppo truccata, mi portò in bagno, mi lavai, lui mi asciugò e disse: hai un volto fantastico, stai meglio così.
Propose di accompagnarmi a casa. Pioveva, aprì il finestrino, voleva prendersi la pioggia sul viso. Mi guardò, era di una bellezza... Io, incantata e intimidita. “Ci vediamo dopo a cena”, disse. E mi fece chiamare da Ibrahim Moussa, il produttore che sposò Nastassja Kinski. Inventai la scusa di un mal di gola. Alain si infastidì, per ripicca invitò a cena le mie amiche, che non mi dissero nulla e ci rimasi male, ma l’avevo voluto io».
Quando vi rivedeste?
«Ero negli Usa con Andy Warhol. In un’intervista dissi: lascio che le cose vengano a me. Alain comprava giornali italiani, era fissato con l’Italia che gli aveva dato tanto. Il regista Jacques Deray cercava un’attrice per Tre uomini da abbattere , di cui lui era interprete e produttore. Mi fece trovare un mazzo di rose, mi disse che ero maleducata perché non lo ringraziai e non mi avrebbe più regalato fiori.
Sul set cominciò una corte silenziosa e magnetica. Si fece dare due stanze comunicanti. Bussò, ero sotto la doccia. Dissi di aspettarmi, lo ritrovai sotto le coperte del letto. Io, intimidita bofonchiai che aveva un bell’accappatoio. Si innervosì e se ne andò. Di notte tornò. Mi sentii toccare, baciare. Aveva la pelle di velluto, olivastra, da perdere la testa».
Ma a parte la bellezza...
«Era determinato ma fragile, doveva essere sempre con le spalle coperte per via della guerra in Indocina. Era agitato, inquieto, divertente, l’ho visto offrire champagne alle prostitute per strada, diceva che nessuna donna aveva il loro cuore.
(...) Un uomo eccessivo. Aveva due guardie del corpo. Le donne gli davano la caccia. Spinse giù dalle scale della sua casa una signora, diceva di essersi persa e questa cosa mi turbò.
Con me è stato una perla, con gli altri era una tigre che graffiava. Era focoso, l’ultimo volta abbiamo fatto l’amore dietro la sua roulotte-camerino. Alla fine delle riprese ci scambiammo un dono: lui un medaglione, io il suo ritratto. All’anteprima andai col mio fidanzato. Alain mi disse, che te ne fai di uno così normale, tu devi stare con me. Col senno del poi ho sbagliato».
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