Estratto dell’articolo di Marco Mensurati per la Repubblica
«Lo so benissimo, ho fatto qualcosa che non può e non deve essere fatto. Mai». Per questo Enrico Varriale ha accettato di spiegare a Repubblica come sia stato possibile che un giornalista affermato, un personaggio pubblico abbia potuto - per citare il gip Monica Ciancio - durante una lite per gelosia, sbattere la propria compagna al muro e prenderla a calci.
«Ma so anche che non sono il mostro di Milwaukee e penso che sia giusto dire come sono andati davvero i fatti».
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Il problema però non è quello che le è successo il 27 settembre, ma quello che è successo alla sua compagna il 6 agosto.
«Prima mi permetta di spiegare come siamo arrivati a quel giorno. Lei viveva a Pesaro col marito. Io ero un uomo libero, a Roma. Ho due figlie grandi ma mi sono separato da mia moglie tanto tempo fa. Con la Signora avevamo cominciato a frequentarci a novembre. Lei veniva a Roma, da me, una settimana sì e una no. Era "prigioniera" - diceva così - di un matrimonio inesistente. Piangeva al telefono, si sentiva in gabbia. Ritenevo la cosa umiliante per lei e per me, così le ho chiesto di scegliere, un rapporto saltuario non mi interessava.
A maggio, come tappa intermedia aveva affittato una casa vicino alla mia. Però le ho detto: il 15 luglio dopo gli Europei o prendi una decisione o la finiamo. Non ebbi risposta. Il 29 luglio ci vediamo a Roma per decidere se fare qualche giorno di vacanza insieme in Costiera amalfitana. Quella sera lei si accorse che avevo cambiato password al computer - prima usavo il suo nome - ha dato di matto e mi ha tirato il computer in faccia. Poi però abbiamo fatto pace e siamo partiti».
Il 6 agosto che cosa è successo?
«Il 5 agosto a sera da Pesaro mi ha raggiunto di nuovo. Eravamo a casa, lei stava rifacendo il letto e mi ha provocato. Ha cominciato ad accennare alle mie avventure ».
L'aveva tradita?
«Dal 15 luglio ero un uomo libero. Prima l'ho rispettata, in ogni senso».
Che è successo, quindi?
«La sera del 5 non sono caduto nelle provocazioni e me ne sono andato».
E il giorno dopo?
«Di quel giorno voglio dire due cose. La prima: non le ho mai messo le mani al collo». La sua compagna ha denunciato questo. «Al Gemelli le hanno fatto una prognosi, di cinque giorni... Un'abrasione alla base del collo...solo un'abrasione. La seconda cosa è che ci siamo colpiti tutti e due. Non l'ho picchiata. Non ho provato a strangolarla. È stato un litigio. Alla fine avevo l'occhio pesto, quello messo peggio ero io...»
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Ma cosa le è venuto in mente? Si è chiesto come sia stato possibile?
«Stavamo litigando. Io parlavo lei chattava», mima il gesto. «Le chiedo di smettere. E una volta, e due e tre. Le tiro via il telefonino. Lei mi salta addosso. Non le ho mai messo le mani alla gola. Sono cose che non devono capitare. Non mi sono controllato. Ma non sono un violento, non sono uno stalker, non ho provato a strangolarla».
Ecco, lo stalking, il giudice l'accusa anche di aver "ossessivamente cercato" di contattare la sua ex.
«Non sono uno stalker».
I messaggi al telefonino
«Dal sei agosto al 27 settembre, 43 messaggi. Eravamo abituati a scambiarcene trenta-quaranta al giorno. Se mi avesse detto "mi disturbi" sarei sparito, ma lei non rispondeva né mi ha bloccato. Per altro in quei 40 giorni, 25 sono stato fuori Roma».
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