L'imprenditore cosmopolita e il montanaro eremita, la sinistra gourmet e quella talmente pane e salame da non essere più, forse, nemmeno sinistra. Oscar Farinetti e Mauro Corona sono agli antipodi, e bene ha fatto Bianca Berlinguer a metterli accanto nella prima puntata di Cartabianca, su Rai3, dopo lo «tsunami Meloni».
Si parla del futuro, imminente governo di centrodestra. Panico tra i sinceri democratici progressisti, di cui Farinetti, Mister Eataly, rappresenta al meglio l'umore: «Da figlio di partigiano, il fatto che ci sia la fiamma tricolore sul simbolo non mi è molto consono. Io ricordo quello che la Meloni diceva su Orban e Trump», esordisce spingendosi poi in una profezia cupissima: «Temo che l'Italia, su certi fronti, possa prendere posizioni che non ha mai preso».
Qualcuno fuori tempo massimo ha rispolverato l'etichetta "sovranismo", che andava molto in voga 3 o 4 anni fa e che oggi sembra decisamente superata da storia ed eventi. Ma non per Farinetti, che mette in guardia gli italiani: «Io voglio essere europeo. Il sovranismo è un danno suicida per il nostro Paese. Noi dobbiamo essere aperti al mondo e non dobbiamo essere orgogliosi di essere italiani, ma riconoscenti per avere questa fortuna». A fare da contraltare a chi intravede decrescita infelice, clausure nordcoreane e, magari, pure la costruzione di qualche muro dalle parti del Brennero o del traforo del Monte Bianco ci pensa Corona, uomo di terra, pietre e ruspante buonsenso.
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«Non arriverà nessun fascismo adesso, sarà un governo di centrodestra che ha anche delle idee buone, ad esempio sulle pensioni e le tasse». Così, papale papale. Una considerazione fatta ravanando nelle tasche degli elettori, quelle che il Pd è (anzi, era) solito frequentare solo quando ci si doveva inventare qualche gabella in più. Un Pd che per dirla con le parole dello stesso Corona «ha abbandonato le fabbriche e gli operai». Impossibile stupirsi per l'esito delle urne: «Ho sentito delle affermazioni a sinistra sul fatto che quella del 25 settembre è stata una giornata triste. Ma il voto è stato un esercizio democratico». Pure troppo, per qualcuno.
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