Barbara Costa per Dagospia
“Non sembra uccidermi niente/ per quanto ci provi”. Non l’aveva già preannunciato, e in "Pretty Noose"? Piace credere che le star non siano come noi, e siano immuni al tedio, e ai guai, del vivere. Che onori, privilegi, e soldi, tanti soldi!, li mettano al riparo dai dolori.
Ma “queste ca*zo di divinità” sanno affrontarla meglio di noi, la vita? Chris Cornell, front-man dei Soundgarden, poi degli Audioslave, oltre 30 milioni di dischi venduti nel mondo, il 18 maggio 2017 si è impiccato nella sua camera d’albergo, dopo un concerto a Detroit: tutti a social disperarsi sul perché, la ragione per cui uno, che il giorno prima postava foto sorridenti coi figli, che poche ore prima faceva selfie in strada, dopo una data sold-out… si sia chiuso, in una stanza, e abbia deciso di farla finita.
chris cornell death hotel room 1
Esce in italiano "Total F*cking Godhead. La Biografia di Chris Cornell" (Il Castello ed., dal 28 aprile), di Corbin Reiff che, per quanto ci abbia largamente provato, non ha trovato risposta a un quesito che, a mente fredda, razionale, ha poco senso chiedersi: perché un 52enne come Chris Cornell, che in vita ha conquistato non tutto, di più… uno che era destinato all’ultimo posto della scala sociale, per come era nato e dove, e che se non avesse avuto una voce dono di Dio, e da adolescente non avesse passato giorni, interi, in casa, ad ascoltare i Beatles… voglio dire, uno che nella vita sì ha avuto c*lo ma pure il c*lo se l’è fatto, può dire addio a tutti e a tutto perché è stanco, è solo, è disperato, è al limite, e stop.
total fucking godhead. la biografia di chris cornell
Ha detto Chris Cornell del suicidio di Kurt Cobain: “Penso che se fosse riuscito a resistere altri 6 mesi… chi lo sa? 6 mesi dopo magari sarebbe stata una persona completamente diversa”.
È così? No? E allora che si fa, si dà ragione a Vicky Cornell? La vedova, l’erede, la donna che da quando Chris è morto è in causa con i restanti Soundgarden (“278 mila dollari!? Una cifra ridicola per comprare la mia quota e farmi fuori! Non sanno che quando muore una star, il valore della sua musica aumenta!?”) ma pure colei che crede al suicidio di Chris ma mette in dubbio che l’abbia fatto consapevolmente.
Per Vicky la verità è altrove, è un’altra, è questa: la notte del 18 maggio, Chris da quell’hotel l’ha svegliata accendendo e spegnendo le luci di casa, da remoto, via app. Così Vicky l’ha chiamato, e l’ha sentito strano, sconnesso: ha quindi allertato la guardia del corpo di Chris, che ha sfondato la porta di quella stanza, poi quella del bagno, trovando sangue, e Chris impiccato, e esanime. Secondo Vicky, Chris è rimasto vittima di allucinazioni provocate dai forti ansiolitici che assumeva.
chris cornell death hotel room 3
Quale sia la verità, di grazia sorvoliamo sull’opinione dei fan, come pure sulle testimonianze di chi a quell’ultimo concerto di Chris Cornell c’era, e con sicurezza certifica la sua cover "In My Time of Dying", dei Led Zeppelin, accompagnata dalla frase “mi dispiace per la prossima città”, quali segni, indizi, chiavi della intenzione di “un mentalmente poco presente” Chris di uccidersi.
Meglio parlare di com’era da vivo il signor Chris Cornell, come descritto in questa biografia non autorizzata, e scoprire che ha scelto il cognome Cornell perché è quello di sua madre: Chris è nato e cresciuto in una famiglia con un padre alcolizzato e che lo picchiava. Si apprende che Chris Cornell a chi avesse orecchie accese l’ha sempre detto, che lui era depresso, e depresso dall’età di 11 anni (!!!).
Una depressione che non lo ha mai lasciato (“dopo un po’ che lo sei, diventa quasi rassicurante: ti senti di m*rda senza un motivo in particolare”). Per anni, dopo una giornata passata in studio di registrazione, Chris Cornell tornava a casa, “si sdraiava sul pavimento, a singhiozzare”.
La futura star Chris Cornell ha mollato gli studi in terza media, campando pulendo pesce e suonando e cantando in band di cui non sarebbe fregato un bel nulla a nessuno se a inizio '90 non fosse esploso un suono chiamato grunge capace di scalzare i miagolii pop dai primi posti in classifica.
Quando Chris Cornell coi suoi Soundgarden diventa una star mondiale non sperpera denaro in p*ttane e lussi: sposa la sua manager, e il pazzo lo fa sul palco, dove è idolo di teenager in amore dei suoi pettorali, e dove scassa microfoni, chitarre, si arrampica sulle travi, si tuffa sul pubblico, fomentando un caos perfettamente coniugato al fracasso grunge, e poi… basta: dopo ogni concerto Chris torna muto, chiuso in sé, uno scaccia groupie.
chris cornell moglie vicky maggio 2017
Chris è un uomo che però si fa, è dai 13 anni che alterna fasi pulite a fasi di “oppiacei, e cocaina, e valium, e cristalli di meth: quando prendi in mano la pipetta per la prima volta, non sai che è il tuo destino”. E Chris è un uomo che beve, forte, vodka, prima di salire sul palco, ma vodka “già dal mattino, appena sveglio”.
Chris Cornell non era quello che vedevi, quello che leggevi nelle interviste, come si postava sui social. Tutta finzione per un uomo preda di demoni che non ha mai gestito, come non ha mai gestito la fama. Un musicista può arrivare a toccarti e a scuoterti più in profondità di chiunque, e tuttora leggo, su profili a Chris Cornell dedicati, post di persone a cui le sue canzoni “hanno segnato la vita”… ma Cornell non era quello che un fan può sognare.
chris cornell figli maggio 2017
Da star, puoi disprezzare il successo? O per quanto puoi splendere di meritata luce… puoi solo diventare ciò che sei? E a volte sei e diventi incapace di venire a patti con la medietà che ti accumuna agli altri. Nel business della musica, quelli che resistono sono dei duri: la loro strada verso il successo è ingombra di corpi. O sei uno di quei duri, o sei uno di quei corpi, posto in una tomba, in un cimitero dei divi a Hollywood, a 4 metri da Johnny Ramone.
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