Estratto dell'articolo di Franco Giubilei per lastampa.it del 10 dicembre 2023
«Anche poeta!». Nell’ammirazione della signorina Silvani davanti alla citazione, peraltro sbagliata, «chi vuol esser lieto sia che tanto domani non c’è certezza», pronunciata da Fantozzi mentre la sta portando a pranzo da Gigi il troione, c’è tutta l’ignoranza rampante della borghesia impiegatizia immaginata da Paolo Villaggio. Anna Mazzamauro, signorina Silvani per sempre, dice di aver fatto pace col personaggio della fatalona bellobrutta da ufficio, tanto da portare a teatro lo spettacolo
Com’è ancora umano lei, caro Fantozzi, così come nella realtà si era riconciliata col suo creatore dopo una battuta non proprio signorile di quest’ultimo in tv, dalla D’Urso: «Barbara col cuore in mano gli aveva chiesto come mi avesse scelta per quel ruolo e lui ha risposto “l’ho scelta come si sceglie un cesso”, al che gli dissi “sì, un cesso su cui avresti appoggiato volentieri il tuo culo”», ricorda la Mazzamauro. Sgarbo riparato con gli interessi anni dopo da un Villaggio in sedia a rotelle spinto dal figlio, quando era già vicino alla morte: «Mi sono inginocchiata e lui dopo vent’anni mi ha preso il viso fra le mani e mi ha detto: “come sei bella”. Allora ho pensato che mi vedesse bella anche prima».
Attrice teatrale fin da inizio carriera, negli anni Settanta, quando aveva rilevato il Carlino, un teatro della scena off romana, racconta come odiasse i provini - «li affrontavi per poi sentirti dire “le faremo sapere”» -, e che in quella sala, dietro il sipario, «c’erano tre mignotte che abitavano proprio lì dentro. Ho proposto loro un lavoro, fare le pulizie a teatro, e loro accettarono».
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Teatro a parte, che continua a riempirle la vita, non ha passioni vere che non siano la lettura. Su tutti Marcel Proust, di cui ha letto e riletto la Recherche. «Da quando mi sveglio al mattino recito lo spettacolo con cui devo andare in scena, dunque non ho tempo per altro se non per leggere». Cucinare le piace, piatto preferito non la frittatona di cipolle di fantozziana memoria, ci mancherebbe pure, ma la pasta e fagioli: «Come la faccio io non la fa nessuno».
La signorina Silvani rientra nel racconto come il ruolo che l’ha resa celebre, insieme benedizione e maledizione, come tutti i personaggi che si appiccicano addosso a un attore suo anche suo malgrado: «Avrei voluto essere Medea, ma in quelle vesti non potrei mai dire “Giasone, lei è una merdaccia!”. Io sono un attrice teatrale, sì, ma questo vissuto con Paolo (Villaggio, ndr) mi ha dato il futuro, Poi quando un’attrice per vent’anni esce alle sei del mattino per diventare un’altra, l’attrice diventa effettivamente l’altra e viene riconosciuta dal pubblico come tale».
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Aggiunge: «Ci ho messo un po’ a essere Mazzamauro dopo essermi scontrata nei primi anni con la Silvani. Sono comunque riconoscente e in debito con Paolo per questo». Villaggio che si inventava Cita Haiworth per consolare la figlia Mariangela trattata come una scimmia e che «sicuramente si sarà ricordato di Bellissima di Visconti quando l’ha immaginato».
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La Silvani comunque bella dell’ufficio? «Fra quei mostri era facile essere bella, ma io ho comunque dimostrato alle donne che si poteva fare successo anche senza essere belle».
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