Enzo Gentile per Oggi - Estratti
«Dieci ragazze per me posson bastare», Lucio Battisti, 1970. E 40 vite possono bastare? È quello che viene da chiedersi dopo la lettura del lavoro che Enrico Ruggeri manda in libreria a metà maggio, 40 vite - Senza fermarmi mai, La Nave di Teseo, 270 pagine, 19 euro; un memoir che gioca a cavallo tra storia e autobiografia, affidando a ognuno dei 40 album sinora pubblicati - esordio nel 1977 - un ricordo, una ricostruzione, la musica e quel che gli gira intorno.
Enrico Ruggeri è uno dei nostri autori più popolari, sia per i suoi dischi sia per le canzoni ad altre voci: Mannoia, Bertè, Oxa, Morandi, Tozzi, Masini… Milanese, classe 1957, due matrimoni, prima Laura poi Roberta, tre figli, Pier Enrico, Ugo, Eva, di 34, 18, 13 anni, due festival di Sanremo vinti, 1987 e 1993, circa 500 canzoni nel suo portfolio, e poi libri, programmi radiofonici e televisivi in quantità: una vera macchina umana.
Una delle sue composizioni più celebri si intitola Quello che le donne non dicono: c’è anche qualcosa che gli artisti non dicono, ad esempio in questo libro così fitto di confessioni?
«Non mi sono frenato o censurato, se non nello specifico del mio mestiere, dove avrei potuto parlare male di più d’uno. Ma non è stato per viltà o quieto vivere: piuttosto per rispetto dei fan, che hanno il diritto di amare chi desiderano. Ci sono persone che non stimo per nulla in questo ambiente, ma se comunicano, bene, con tanta gente, buon per tutti».
Nonostante una biografia così densa, lei non è stato mai risucchiato o travolto dal gossip: perché?
«Basta non frequentare le località, le barche, i ristoranti presidiati dai fotografi. E quando ho parlato anche di vicende molto personali, l’ho fatto senza eccessi, tra giochi di specchi e distorsioni. E comunque preferisco essere giudicato per quel che scrivo e canto piuttosto che per i frutti del pettegolezzo».
Però in passato, proprio perché abituato a esprimersi senza peli sulla lingua è rimasto anche lei invischiato in polemiche nate da affermazioni sul Covid o sulla politica.
«E infatti starò ben attento, pensandoci mille volte prima di una prossima volta. Io sento un senso della giustizia che talvolta mi ribolle nelle vene e parlo senza mettere il freno a mano. Ad esempio, ai tempi della pandemia, dissi che non potevamo astenerci dal vivere solo per non morire. Una cosa semplice, forse condivisa da molti, ma in tempi di social e amplificazioni estreme, sono passato per negazionista. Ad esempio penso che le case farmaceutiche non siano del tutto sopra le parti. E qui mi fermo».
Approverebbe una tassa sugli extraprofitti?
«Perché no? Soprattutto se certe posizioni e rendite sono state improvvise e incontrollate. In politica passo per uno di destra, ma sulle questioni pratiche lo sono molto meno di quanto si creda: per esempio su liberalizzazione delle droghe leggere, aborto e anche su quel che accade a Gaza. Resta che sono profondamente contrario alle dittature e ai tempi del liceo, a Milano, c’era solo un pensiero, un orientamento dominante. Ma se tornassi indietro di cent’anni sarei con Matteotti, mica con le squadracce».
Va a votare?
«Talvolta, non sempre. E comunque sono fiero di non avere mai avuto favoritismi da nessuno: veti invece sì».
Una delle sue grandi passioni è il calcio, sia giocato sia tifando Inter: quale fu la prima volta a San Siro?
«Ricordo benissimo: fu il 4-1 dell’Inter sul Verona, il primo gol che vidi dal vivo lo segnò Bertini.Ma la cosa che in assoluto mi colpì di più fu il verde del prato: le partite, poche, erano solo in bianco e nero, alla tv. Nel frattempo sono diventato molto amico di Evaristo Beccalossi, ho adorato il calcio degli irregolari: Best, Gigi Meroni, Cantona, Cassano. E soprattutto continuo a giocare, con gli amici, in un campetto a sette, un paio di volte alla settimana, e nella Nazionale Cantanti».
(…)
Beatles o Rolling Stones?
«Beatles tutta la vita, ma a cena andrei con i Rolling Stones».
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