1 – “UN PRODUTTORE MI CHIESE DI FARE SESSO SUL SET” – A 63 ANNI SHARON STONE SCODELLA L’AUTOBIOGRAFIA “THE BEAUTY OF LIVING TWICE” E RIVELA DETTAGLI BOMBASTICI DELLA SUA CARRIERA: “MI DISSE CHE LUI AVEVA FATTO SESSO DURANTE UNA SCENA CON AVA GARDNER. IO RISPOSI CHE POTEVANO FARE SESSO TRA LORO E LASCIARMI FUORI DA TUTTO QUESTO” - E SUL FAMOSO ACCAVALLAMENTO DI GAMBE DI “BASIC INSTINCT”: “FUI INGANNATA”. GLI SCHIAFFI AL REGISTA PER LA PATONZA INQUADRATA E… - VIDEO
sharon stone il bello di vivere due volte
2 – SHARON STONE: «HO CAMBIATO LE REGOLE LIBERANDO LA RABBIA CHE COVAVO DENTRO»
Gloria Satta per “il Messaggero”
Non solo Basic Instinct e «l'inganno» che la spinse a togliere gli slip davanti alla cinepresa, le molestie di un produttore, le pressioni ricevute per fare sesso con il partner, l'imposizione di un regista di girare una scena di sesso sgradita.
Nella palpitante autobiografia di Sharon Stone Il bello di vivere due volte (Rizzoli, in libreria il 30 marzo) c'è anche un nonno orco. Abusò della sorellina dell'attrice, Kelly, 5 anni, davanti agli occhi di Sharon stessa che ne aveva appena 8: «Avrei voluto accoltellarlo a morte. E quando ho interpretato la serial killer in Basic Instinct», scrive la star, «ho attinto alla rabbia covata, ho fatto uscire l'oscurità che avevo dentro...».
È stato l'atto «più liberatorio» della sua vita, giura. Successi e malattie, amori e dolori, glamour e impegno, soprattutto la rinascita dopo la faticosa guarigione dall'ictus del 2001: a 63 anni, il ruolo di icona ancora intatto e l'attivismo umanitario sempre più intenso, Sharon ha deciso di mettersi a nudo rivedendo la propria vita come fosse un film.
«Ho imparato a perdonare l'imperdonabile», assicura alla fine di questa maratona autobiografica che parte dalle sue origini, un paesino della Pennsylvania nel mezzo del nulla, passa dai traumi dell'infanzia e approda ai fasti di Hollywood toccando il rapporto di amore e odio con la madre Dot, l'adorazione per il padre Joe, i tre figli adottivi, le malattie (oltre all'ictus, tumori al seno e aborti spontanei), gli incontri, il buddismo, le battaglie.
QUATTRO FRATELLI
Sharon, seconda di quattro fratelli, ha sempre saputo di essere speciale, dotata di un Q.I eccezionale: da ragazzina era «costantemente nei guai perché facevo quella cosa considerata disdiscevole per il genere femminile: pensare».
Ma praticava anche il motocross, maneggiava il cemento, adorava il jazz, giocava a carte e leggeva libri, tanti libri. Si manteneva servendo pasti in un fast food, poi arriva la svolta come modella nella mitica agenzia di Eileen Ford a New York, quindi il debutto sul set in Stardust Memories di Woody Allen. Ma prima che l'attrice esplodesse in Basic Instint, nel cinema non la consideravano abbastanza sexy, «insomma non ero scopabile».
sharon stone in year of the gun
FEMMINA ALFA
Nel suo autoritratto, spietatamente sincero senza rinunciare all'ironia, Sharon racconta di aver ribaltato la propria immagine attraverso un lungo lavoro di autoconsapevolezza. Decisivo, 30 anni fa, fu proprio Basic Instinct: «Mi ha insegnato a mostrarmi meno debole, meno disponibile a essere mangiata viva». Diventa una star, a Hollywood la venerano e la temono, «dicevano che intimidivo l'altro sesso, mi fanno ridere».
Ma dopo l'ictus le sue quotazioni precipitano e le descrizioni si fanno impietose: «Bionda, alta, tette grandi, gambe lunghe e un danno cerebrale. Una sopravvissuta».
RITORSIONI
Poi il sistema deve ricredersi: «Hanno detto che ho le palle più grandi di Hollywood. E se sono stata la prima donna a ottenere un compenso ritenuto rispettabile, sempre molto più basso di quello degli uomini, ma più alto rispetto al passato, non è un caso... Ho cambiato le regole e sono stata punita, potrei esserlo ancora ma non ho paura».
Chi è oggi Sharon Stone? Lei si descrive come una donna affamata d'amore, compassionevole, femminista, riconciliata: con la madre, a cui dedica il libro, con l'ex marito Phil Bronstein che le strappò la custodia del figlio Ronan. L'attrice è finalmente consapevole del proprio potere. Condannata a essere una femmina alfa e felice di esserlo.
2 – LA MORTE MI HA FATTA BELLA
Estratto da “IL bello di vivere due volte”, di Sharon Stone (ed. Rizzoli), pubblicato da “La Stampa – TuttoLibri”
Ho aperto gli occhi e ho visto lui, davanti a me, a pochi centimetri dal mio viso. Un perfetto sconosciuto mi guardava così teneramente da farmi credere di essere in punto di morte. Un uomo bellissimo mi stava accarezzando la testa e i capelli. Per un attimo ho sperato che fosse lì perché mi amava. E invece ha detto: «Ha un’emorragia cerebrale».
Mentre lui mi toccava con delicatezza il capo, io, sdraiata sulla barella, ho capito che nessuno dei presenti in quella stanza era lì perché mi amava. L’ho semplicemente intuito, non mi serviva un’emorragia cerebrale per rendermi conto dell’incredibile battuta d’arresto nella mia esistenza. Erano gli ultimi giorni di settembre del 2001 e mi trovavo al pronto soccorso del California Pacific Medical Center di San Francisco.
A quel punto ho chiesto al dottor Bellezza: «Potrei perdere la parola?». Lui mi ha risposto di sì. Mi serviva un telefono. Dovevo chiamare mia madre e mia sorella. Volevo dirglielo io, finché ero in tempo. Il bel dottore mi ha stretto forte la mano.
sharon stone halle berry catwoman
Stava facendo del proprio meglio per colmare il mio vuoto con quella sorta di affetto speciale che sa dimostrare solo chi fa il proprio mestiere con passione, perlomeno in momenti simili. Da lui ho imparato molto. Ho chiamato per prima mia sorella Kelly che, come sempre, si è confermata la persona più straordinaria che conosca. È più gentile con gli altri che con se stessa, e dietro la sua dolcezza si nasconde un po’ di ingenuità.
Poi ho chiamato mamma, una conversazione più difficile per me, perché non ero particolarmente sicura di piacerle. Ed eccomi lì, moribonda e pure insicura. Mamma era nel giardino di casa a curare le piante, su una collina della Pennsylvania. Le è venuto un mancamento. Bisogna dire che Dot è abbastanza impressionabile, a volte per andare in crisi le basta ascoltare una pubblicità alla radio, perciò ho aspettato, sapevo che si sarebbe ripresa subito. Nonostante la distanza che ci separava, lei e mio padre sono arrivati in meno di ventiquattr’ore.
SHARON STONE CON IL FIGLIO RONAN
È entrata di corsa in ospedale con i bermuda ancora indosso, le unghie sporche di terra e il terrore negli occhi. Uno sguardo è stato sufficiente a cancellare anni di incertezze e fraintendimenti. Mentre pensavo di morire da un secondo all’altro, lei mi ha accarezzato il volto con una mano imbrattata e all’improvviso ho sentito che mi amava. Pezzo per pezzo.
Mio padre le stava accanto come un toro pronto alla carica. Ho chiamato Mimi, la mia migliore amica da oltre vent’anni, e ho esordito come sempre prima di una notizia bellissima o bruttissima: «È meglio che tu ti sieda». L’ho sentita fare un respiro profondo. «Sto rischiando di morire e sei l’unica a cui posso dire la verità, perché qualcuno dovrà prendersi cura di tutti e non posso farlo io. Ho un’emorragia cerebrale e non sanno cosa l’abbia causata.»
Mimi ha esclamato: «Merda!». Io ho detto: «E poi, qui c’è un dottore bellissimo e non riesco nemmeno a flirtare con lui». Stava per mettersi a piangere quando mi ha sussurrato: «Bimba, salgo sul primo aereo che trovo». Proprio come mi aspettavo. Poi è calato di nuovo il silenzio, ha rimbalzato sulle piastrelle del pronto soccorso e mi ha colpito dritto al cuore appena spezzato.
Ricordo di aver provato una sensazione a metà tra lo spavento e l’incanto nel notare che nessuno intorno a me si agitava urlando: «Presto, non c’è tempo da perdere!», come si vede nelle serie TV. La strana assenza di movimento e di fretta da parte del personale era stupefacente. Il dottore (sì, sempre quello) mi ha detto che stava arrivando un’ambulanza per trasferirmi al Moffitt-Long, un ospedale con un reparto di neurologia rinomato, dove mi avrebbero riservato un trattamento speciale.
La notizia mi aveva angosciato. In certi momenti, sapere che ti stanno riservando un “trattamento speciale” può deprimerti. Non è come un posto in prima fila a una partita dei Lakers o il tavolo accanto alla finestra nel tuo ristorante preferito. Privilegi, successo, stronzate.
A quel punto tutto ha cominciato all’improvviso a muoversi in modo strano, come se il film della mia vita scorresse velocemente all’indietro. Poi ho avvertito un’altra sensazione singolare: mi sono sentita precipitare, finché qualcosa mi ha travolto, anima e corpo, e subito dopo è diventato tutto bianco, una specie di tormenta di neve straordinaria e luminosa mi ha sollevato e sradicato dal mio corpo per gettarmi in un altro magnifico e fatto di… consapevolezza? La luce era molto intensa e tutto era così… mistico.
Volevo capire, volevo immergermi. E poi li ho visti. I loro volti erano familiari, ma soprattutto trascendenti. Qualcuno se n’era andato da poco. Alcuni li avevo accompagnati fino all’ultimo istante della loro vita. Erano stati amici carissimi: Caroline, Tony Duquette, Manuel. Quanto mi mancavano.
Avevo così freddo nella stanza da cui venivo, e loro invece erano calorosi, felici, accoglienti. Senza che proferissero una parola ho capito cosa mi stavano dicendo: che siamo al sicuro e non dobbiamo avere paura perché siamo circondati dall’amore. Perché, in realtà, siamo noi l’amore. A un tratto ho sentito una botta tremenda, come il calcio di un mulo in pieno petto, e un attimo dopo ero di nuovo sveglia, sbigottita, nella stanza del pronto soccorso. Avevo fatto una scelta.
Ho emesso un rantolo quasi fossi uscita dall’acqua dopo un’immersione troppo lunga. Mi sono tirata su a sedere, la luce era accecante. Riuscivo a vedere solo il dottor Bellezza accanto a me, che mi osservava. Dovevo correre in bagno, ma quando ho provato a scendere dalla barella mi sembrava di essere in alto, tanto in alto, come Alice in un Paese delle Meraviglie tutto d’argento, fatto di acciaio inossidabile. «Di cosa ha bisogno?» mi ha chiesto il dottore. «Del bagno.» «Venga, è qui.» Sono scivolata giù, fino alle piastrelle fredde, e ho raggiunto il bagno barcollando; la pipì è durata un’eternità, poi sono tornata dal dottore ondeggiando come una piuma e come tale lui mi ha sollevata e rimessa a letto.
the new pope from left sharon stone & john malkovich photo by gianni fiorito
Alla fine degli anni Novanta, avevo inseguito un amore che non avevo. Un amore che credevo mi appartenesse, ma mi sbagliavo. Lo avevo proprio inseguito in senso letterale, lasciando Hollywood per trasferirmi in North Carolina, e in senso figurativo e spirituale, tentando continuamente di migliorare me stessa e, di conseguenza, la mia esistenza, il mio modo di amare e di essere amata.
Mentre ero impegnata a osservare la mia vita, di colpo mi è svanita davanti agli occhi. E così, d’un tratto, un bel pomeriggio ho trovato la risposta a tutte le mie domande. Limpida, senza ambiguità né pretesti, la verità era che tutti i miei sforzi erano stati vani. In fondo era semplice: non ero né amata né desiderata, anzi.
Il mio onesto e decoroso piano per diventare una persona migliore, qualcosa “di più” di quella che ero stata, una persona più vera e concreta, era fallito. Avevo fatto quanto era in mio potere, eppure non andava bene niente. All’epoca ero convinta che, continuando ad agire nella maniera che reputavo più corretta, le porte del mondo che tanto desideravo si sarebbero spalancate.
Non aveva funzionato. Avevo fatto scelte sbagliate, inconsapevoli, spiritualmente povere. Per essere “di più” mi ero allontanata dalla mia essenza. Credevo di non essere “abbastanza”. Non ero nel posto giusto per me ma lo ignoravo, e l’idea di andarmene non mi sfiorava nemmeno, perché sono abituata a fare le cose per bene e a mantenere la parola data. Inoltre, ero convinta che, anche se avevo commesso un errore, avrei trovato il modo di risolvere la situazione.
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