Estratto dell’articolo di Aldo Grasso per il “Corriere della Sera”
La diciottesima edizione de L’Isola dei Famosi si è conclusa con la vittoria di Aras Senol, l’attore di «Terra amara», il cavallo di battaglia di Canale 5.
Parlare di vittoria stride un po’ con l’esito di questa edizione condotta da Vladimir Luxuria.
Gli ascolti non sono stati quelli sperati e il programma comincia a mostrare i suoi grandi limiti. Di chi la colpa?
Le ipotesi che circolano sono tre: il cast dei partecipanti sbagliato o comunque non all’altezza, una conduzione molto deludente (l’ingrata Luxuria!), la decisione editoriale di non cavalcare più il trash. È probabile che le ipotesi si siano mescolate fra di loro e abbiano contribuito all’affossamento del format.
I concorrenti erano quasi tutti sconosciuti, per questo mi ha molto colpito una dichiarazione dell’opinionista Sonia Bruganelli (anche lei mezza sconosciuta ai più) nel tentativo di spiegare il flop. Questa la sua tesi: «Il reality non può essere elegante […] vogliono vedere il sangue. Ma lo vogliono vedere quando c’è ed è reale. Perché gli spettatori capiscono quando le dinamiche sono finte […]».
Bruganelli voleva il sangue, Pier Silvo Berlusconi voleva l’eleganza? Il reality non è né uno né l’altro, ma soprattutto non è la realtà, è una realtà messa fra virgolette, interpretata, «pettinata». Dunque, i concorrenti, credendo di essere sé stessi, recitano comunque una parte o sono indotti a recitarla: dalla seconda edizione in poi, è una «realtà scritta» o, se volete, drammatizzata. Altrimenti, cosa ci stanno a fare gli autori?
Una delle regole basilari del reality, l’indistinzione tra vero e finto, finisce per confondere le persone ciniche di cuore ma ovvie nei ragionamenti, come ad esempio Bruganelli.
VLADIMIR LUXURIA - SONIA BRUGANELLI
Il reality è «morto» perché tutto è diventato reality. C’è stata una lenta infiltrazione del genere in tutti gli altri format televisivi, nella politica, nella comunicazione, nella società, nella testa delle persone. Comunque, anche le opinioni «alla Bruganelli» hanno contribuito a insabbiarlo.
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