Elvira Serra per il "Corriere della Sera"
giacomo poretti turno di notte libro
Giacomino Poretti arriva sorridente e trafelato, ordina un caffè, dice di star bene, sempre bene, nonostante sia una fase della vita incasinata: sta ristrutturando casa, che notoriamente - chiarisce - con il lutto e il cambio del lavoro è una delle tre maggiori fonti di stress per l'essere umano; sta ultimando il cartellone per il Teatro Oscar, assieme a Luca Doninelli e Gabriele Allevi; e si sta occupando del nuovo libro, Turno di notte , terza fatica letteraria dopo Alto come un vaso di gerani e Al Paradiso è meglio credere , tutti per Mondadori. Confessa: «A questo tengo più che agli altri. Del primo non mi sembrava vero mi dessero la possibilità di scriverlo. Il secondo era una storia un po' distopica, credo l'abbiano apprezzata in due o tre. Questo è stato anche doloroso scriverlo».
Scelga lei come qualificarsi: marito, figlio, padre, attore, comico...
«Sono molto legato alla famiglia, per me è centrale, è in cima a tutte le cose. Ma sulla lapide mi piacerebbe ci fosse "scrittore". È un po' esagerato, mi rendo conto. Però, se me lo si chiede prima, allora non avrei dubbi: o scrittore o umorista».
In «Turno di notte» racconta i suoi undici anni all'ospedale di Legnano: entrò nel 1974 da ausiliario e uscì nel 1985 da caposala.
«I ricordi più belli li ho in chirurgia plastica e traumatologia-ortopedia. C'era una tale carenza di infermieri che ti impiegavano subito a fare tutto, anche se non eri diplomato. Ma il reparto che mi ha segnato di più è stato medicina, con i pazienti di oncologia».
La lezione più grande imparata in corsia?
«L'umiltà. Credo valga anche per i medici. Nel mio caso, sono passato per prove di umiliazione mica male: l'infermiere deve occuparsi del corpo del malato, un corpo sporco, che suppura, che maleodora. Il tuo primo compito è pulirlo, e non è sempre piacevole. Certo, è più umiliante per l'ammalato».
E i medici come imparano l'umiltà?
«Capendo che non sono onnipotenti. Quando devi dire che un familiare ha pochi mesi di vita subisci una sconfitta: con tutto quello che hai studiato, non sai come salvarlo».
È mai stato ricoverato, dopo?
«Sì e ho anche avuto bisogno del pappagallo. In quel caso mi sono chiesto: "Ma sono stato attento e premuroso con i pazienti quando me lo chiedevano? Perché prima glielo porti via e prima lo togli dall'imbarazzo».
È stato battezzato Giacomino. Di chi è la colpa?
«Di mia madre, che voleva darmi il nome di suo padre, morto quando lei e il gemello avevano otto mesi. Però, per differenziarmi da lui, mi chiamò Giacomino. Da ragazzino mi faceva schifo. Ma perché, dico io? Sembrava il mio destino fosse già scritto. In casa mi chiamavano Mino. Poi a scuola cominciarono con Jack».
Mai stato bullizzato?
«Un pochino, per l'altezza. Una volta ho reagito in maniera scomposta. Frequentavo le serali, perché di mattina lavoravo in fabbrica: avevo cominciato dopo la licenza media e tre mesi ai geometri, i miei genitori mi avevano fatto capire che era meglio se lavoravo. Al professionale c'era uno grande che mi prendeva sempre per i fondelli: è arrivato il tappetto, il piccoletto...
aldo giovanni giacomo giacomo poretti recita da infermiere
Quella volta non ci vidi più. Lui era seduto al suo banco, io lo raggiunsi e gli scaraventai contro la scrivania. Cadde all'indietro e battè forte la testa: per cinque secondi non si mosse. Poi si riprese, non mi insultò più. Ho ancora paura se ci ripenso. A mia discolpa posso citare papa Francesco quando ammise: è vero che non si può reagire violentemente, ma se un mio amico dice una parolaccia contro la mia mamma lo aspetta un pugno!».
Cos' ha preso dai suoi genitori?
«Mio padre Albino era metalmeccanico. Da lui spero di aver preso la sensibilità: era molto dolce. Mia madre faceva l'operaia tessile. Lei è un carrarmato. Un aneddoto emblematico della sua infanzia è di quando mia nonna svegliò nel cuore della notte lei e il gemello, che avevano 8 anni, per andare in campagna a tagliare un ciocco di legno: era inverno e c'era la neve. Da lei ho preso l'indomabilità: mia moglie, invece, dice che sono cocciuto».
E suo figlio Emanuele, quindicenne, cosa ha preso da lei?
«La profonda sensibilità. Mentre l'ironia la deve alla nonna».
Che padre pensa di essere?
«Affettuoso e ansioso. Quando Emanuele è nato è stato il giorno più bello della mia vita. Mia moglie, Daniela, doveva fare il cesareo, fissato per le 9 del mattino. Lei si svegliò alle 8.10, tranquilla, anche perché stava benissimo con Emanuele in pancia. Io ero sveglio dalle 6, sbarbato e vestito di tutto punto!».
Il libro lo ha dedicato a Emanuele e a Daniela, «medico delle anime».
«Lei è psicoterapeuta, una delle sue passioni è il teatro, lo usa anche nel lavoro. Aveva fatto la scuola d'arte drammatica Paolo Grassi di Milano per la regia ed ebbe una piccola parte nel film di Giuseppe Piccioni Fuori dal mondo , prodotto da Lionello Cerri dell'Anteo, che mi invitò a vederlo. Io gli feci capire che mi sarei annoiato tantissimo e invece conobbi Daniela: era il 1999. Ci siamo sposati nel 2002».
Insieme avete intrapreso un percorso di fede. Organizzate ancora gli incontri spirituali al San Fedele?
«Non più. Insieme avevamo cominciato a frequentare il centro: padre Eugenio Bruno ci aveva sposato e aveva battezzato nostro figlio. Però posso dire che il matrimonio ha un senso diverso all'interno del percorso di fede: le parole fedeltà e dedizione mi riscaldano».
Pensa mai alla morte?
«Certo, più passa il tempo e più ci pensi! Quando ci siamo ammalati di Covid la sera ci addormentavamo con il timore di non risvegliarci. Avere fede aiuta, ma talvolta fa incavolare ancora di più. Nel mio libro, l'infermiere Saetta instaura frequenti dialoghi con chi sta lassù: impreca, supplica, spera. E a volte si sente accolto e grato».
Ha fatto cinema, televisione, teatro. Perfino l'ape-teatro!
«Ah questa è stata un'esperienza bellissima! Due settimane fa sono venuti in 400 al Cimitero Monumentale di Milano: c'erano 5 fiati, io declamavo una cosa su sant' Ambrogio e sant' Agostino, un tedesco e un terrone africano. Quattrocento al cimitero non è male, eh...».
Si ricorda il suo debutto?
«In oratorio a Villa Cortese, avevo 8 anni. Don Giancarlo mise in scena uno spettacolo su tre extraterrestri che arrivavano sul nostro pianeta: uno era altissimo, uno bassissimo e uno grassissimo. Ebbi la parte senza provino. Ci furono due repliche, ricordo ancora l'emozione. Mi ci sono voluti altri vent' anni per intraprendere finalmente quella strada».
E arriviamo all'incontro con Aldo Baglio e Giovanni Storti. Cosa l'ha divertita di più?
«Beh, quando facevamo i bulgari mi divertivo come un matto! All'inizio si chiamavano gli albanesi. Poi prima di una puntata di Mai dire gol successe una tragedia nel mare e la Gialappa' s suggerì di cambiare nome per rispetto».
Com' erano nati i personaggi?
«Da una vacanza-lavoro a Zanzibar, dove io non andai perché malato. Aldo e Giovanni tornarono pazzi per questi acrobati locali scarsissimi. Decisero di farne la parodia. Tenga conto che loro due sono acrobati veri, hanno frequentato la Scuola di mimo dell'Arsenale».
Non è che dessero questa impressione...
«Sembrare scarsi raddoppia la bravura!».
Censure?
paolo guerra con aldo giovanni e giacomo
«Sì. Ai tempi di Cielito lindo , era il 1993, quando facevamo i vecchietti, dedicammo un "sai che?" a Sandra Milo, che aveva già 60 anni. La battuta era: sai che Sandra Milo è incinta? E sai cosa ha detto il figlio appena è nato? Ciao nonna! Una cosa innocente, giocata sul fatto che con la provetta si poteva fare un figlio a qualsiasi età. Ci avvertirono: se lo dite chiudiamo il programma. Cedemmo».
Sensibilità offese?
«Ne La banda dei Babbi Natale a un certo punto Giovanni, che interpreta un veterinario, dà un calcio a un gatto bianco. Era chiaramente un peluche. Ma gli animalisti protestarono. Per la povera Mara Maionchi, cui ne facemmo di ogni colore, non si fece avanti nessuna associazione di suocere. Pure per un spot ci fecero problemi: volevamo mettere un cane, finto, dentro la lavatrice. Ci finii io».
Le dispiace essere associato sempre al trio?
«No, affatto. Devo a loro la mia carriera artistica. Siamo al punto che quando esco con mia moglie qualcuno commenta: quella è la moglie di Aldo Giovanni e Giacomo!».
Vi volete bene?
aldo giovanni e giacomo i bulgari
«Sì. Giovanni l'ho sentito due giorni fa, Aldo è più anarchico e risponde meno al telefono. A un certo punto abbiamo sentito il bisogno fisiologico di fare anche altro, da soli: la notorietà ti dà una grande libertà. Ci siamo visti una settimana fa per parlare del nuovo film».
Ha fatto ridere tantissime persone: di chi è più orgoglioso?
aldo giovanni e giacomo i bulgari
«Dopo l'Expo il cardinale Scola, allora arcivescovo di Milano, mi commissionò una serata in piazza Duomo sul tema dell'alimentazione. Ero teso perché avevo scritto un pezzo molto divertente, ma pieno di riferimenti biblici un po' forzati, con Giacobbe, Esaù... Il cardinale mi fece i complimenti. Ma il giorno dopo la vera soddisfazione fu vedere le foto con il cardinale Tagle che rideva a crepapelle! Un filippino, capisce? Comicità senza confini!».
Quale giudizio aspetta con più apprensione? Quello di sua madre o di sua moglie?
«Di mia moglie, mi fa sempre un mazzo così. Le faccio leggere le cose in anteprima, ad alta voce. Lei ride, partecipa, mi fa i complimenti. E poi mi massacra!».
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