Ginevra Barbetti per corrierefiorentino.corriere.it
gigliola cinquetti in maison lavinia turra
Sulla copertina della sua autobiografia c’è una foto dove autografa il 45 giri di Non ho l’età (Per amarti). Siamo nel 1964, l’anno in cui, proprio con quella canzone, trionferà a Sanremo. La seconda vittoria arriverà due anni dopo, con Dio, come ti amo. Se quella ragazza perbene era un personaggio che le stava un po’ stretto, dopo 60 anni siamo arrivati alla pacifica convivenza: «Oggi ci siamo ricongiunte, siamo una cosa sola — sorride Gigliola Cinquetti, mentre si racconta con la sua solita grazia gentile — Ai tempi si riunì addirittura la casa discografica con un problema da affrontare: ero antipatica.
«Sforzati di essere simpatica, fai vedere che sei come le altre, allegra e vivace come tutti i giovani...» mi dissero. Non che questo abbia mai troppo intaccato la mia personalità, me ne fregavo, anche perché non sarebbe servito a niente. Era talmente potente quella ragazzina, stretta alla sua immagine. Comprendevo lucidamente l’atmosfera che mi circondava, quello che avveniva in quegli anni.
GIGLIOLA CINQUETTI - AUTOBIOGRAFIA - A VOLTE SI SOGNA
Se ti esponi devi stare al gioco, accettando che gli altri pensino di te qualcosa che non corrisponde alla realtà, e questo l’ho sempre saputo». La cantante veronese, ma anche attrice e conduttrice tv, sarà ospite sabato 31 agosto al Castello Pasquini di Castiglioncello durante «La forza delle idee», una serie d’incontri curati da Paolo Mieli, dove parlerà del suo libro, A volte si sogna edito da Rizzoli.
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Tenco le disse: «La odio. Lei rappresenta tutto quello che detesto. È falsa, ipocrita, perbenista».
«Lo guardai attonita, poi si girò e fuggì. Rappresentava quella categoria di cui io stessa facevo parte, eravamo studenti. Giovani colti. Alcuni avevano in testa più slogan che idee. Ma servì a farmi conoscere il rovescio della medaglia, quello delle critiche anche violente».
«Non ho l’età (Per amarti)» è ancora attuale?
«Eccome. Nel testo c’è un forte significato femminista. È la storia di una ragazza che non accetta di vivere un rapporto che non sia alla pari, con un uomo che vorrebbe essere il suo pigmalione. Niente prevaricazioni o supremazie, già allora immaginavo una relazione che trovasse il suo equilibrio nella parità».
Come rispondeva al successo?
«Ero come congelata, per difesa. “Si vive una volta sola”, ripeteva mio padre. Mi suonava come qualcosa di terroristico: se sbagli a giocarti l’ultima carta, ti sei fatto fuori la vita. Che ansia. Adesso osservo, e finalmente respiro. Pasolini diceva che il successo è l’altra faccia della persecuzione. Può esaltare, dare delle soddisfazioni, qualche vanità. Appena l’hai ottenuto, è complesso da gestire. Sei come un bersaglio. Poi per fortuna evapora e rimane altro. Quell’altro, oggi, è dolce. Capisco il privilegio di esser stata popolare e il mio presente è come una ricaduta morbida, un distillato, un nettare di cui mi nutro con grande naturalezza».
Walter Chiari le disse che non c’era altro lavoro più bello del vostro, «niente che valga come rendere felici gli altri».
gigliola cinquetti e toto cutugno 4
«Era una sera di marzo del ’65, a Tripoli. “Del pubblico che viene a vederti a teatro, cosa hai capito? Sai da quali pesi sono oppressi? Alleggerirgli l’animo è un privilegio raro”, continuò. Io, che non ero certo soggiogata dal mito del successo, risposi: “E che sono, una missionaria? Proprio di me dev’esserci bisogno?”».
A Castrocaro invece, Domenico Modugno le chiese il parere su una certa canzone.
«“Mi sei piaciuta a Sanremo, ma non con Non ho l’età. Mi sei piaciuta quest’anno con la canzone di Ciampi Ho bisogno di vederti. Adesso devi dirmi se ti piace questa…” disse. Poi prese la chitarra e fece vibrare gli accordi giusti. Le parole erano: nuvole, fazzoletti bianchi, tra le braccia, innamorati…».
«Dio, come ti amo». Le piacque?
«La imparai all’istante. “Qua la mano, ci vediamo sul palco dell’Ariston!” mi disse. La casa discografica mi fece provare tante altre canzoni ma alla fine vinsi io».
È stata grande amica delle sorelle Bertè. Nel libro racconta che una volta Loredana fece da babysitter a suo figlio Giovanni.
«L’avevo messo sul passeggino, stava per uscire a Campo de’ Fiori con Gemma, una ragazza che mi aiutava come baby sitter. Arriva Loredana: “Te lo porto a spasso io!” dice. Tornarono dopo ore, col bambino che dormiva beato, lui che non riposava mai, tutto imbrattato di gelato. E Gemma vestita da pop star, con minigonna e stivaloni. “Guarda come te li ho trasformati, ora sì che sono felici”. Le risposi: “Bene, la prossima volta porta via me allora!”».
Apriamo il capitolo «Canzoni del 2024»?
«Quello dei “tormentoni tormentati”. Vorrei meno vittimismo nei testi amorosi e un po’ più di sana gioia spensierata. Sono verbosi, troppe parole. Che a dirla tutta faccio fatica a capire, anche per questo forse non ne colgo in profondità l’essenza. Manca il refrain, quella frase che ti entra dentro e non ti molla il cuore. Che siano le classiche “pulci” che facciamo noi, arrivati a una certa età? Può essere. Forse la verità è un’altra».
Quale?
«Abbiamo perso quella fame di emozioni che avevamo da giovani. L’animo e la memoria sono ormai piene. Con sincerità le dico che, a noi anziani, il “nuovo musicale” non è che ci coinvolga poi troppo. Non credo un granché a chi se ne dice entusiasta».
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