Mario Luzzatto Fegiz per il “Corriere della Sera”
I Camaleonti sono il simbolo del boom dei complessi musicali negli anni Sessanta e Settanta. Voglia di offrire nella nostra lingua successi stranieri, voglia di agganciarsi a quel che succedeva in tutto il mondo: trovano una via italiana al Beat.
Nel caso dei Camaleonti, così come dei Dik Dik, proponevano un pop leggero e orecchiabile. Tutti facevano un po' di tutto. Il cambio in corsa di un elemento era ininfluente ai fini del risultato finale. Fra le canzoni che i Camaleonti hanno portato al successo L'ora dell'amore, con ampia citazione di un brano dei Procol Harum. E ancora Applausi , Perché ti amo , Eternità .
Ogni tanto indulgevano nel mellifluo, come nel brano Lei mi darà un bambino .
Il leader del gruppo, Antonio «Tonino» Cripezzi, è morto dopo un concerto. Probabilmente per un malore, aveva 76 anni. Lui e Mario Lavezzi, il nocciolo duro dei Camaleonti, abitavano nello stesso quartiere della periferia di Milano e lì era iniziato tutto. Il loro era un sodalizio che si era interrotto solo per la chiamata alla armi di Lavezzi. Ed è curioso che la band in cui avevano militato assieme si fosse data come nome I Trappers , anticipando di qualche decennio la Trap.
Il caso ha voluto che Tonino Cripezzi sia morto nello stesso albergo a Chieti in cui alloggiavano i Dik Dik impegnati anche loro in un concerto estivo. Tra i primi commenti ad arrivare quello di Pietruccio Montalbetti, leader del complesso: «Nessuna rivalità fra le nostre due band. Tonino era una persona gentile e un grande artista».
Ma che differenza c'è fra Camaleonti e Dik Dik? «Molto poca», per Mario Lavezzi, che scatta una fotografia degli anni d'oro di quei due gruppi.
«Tutti e due più beat che rock.I percorsi di crescita, poi: entrambi erano partiti facendo cover, versione italiana. Poi mano a mano che crescevano in credibilità, gli autori hanno iniziato a scrivere apposta per loro». Su tutti Battisti e Mogol, per esempio. «La distanza stilistica tra le due band era minima - continua Lavezzi -. Però la voce di Cripezzi era molto riconoscibile, con il suo vibrato inconfondibile, così come lo era quella di Vandelli nell'Equipe 84».
La composizione del gruppo ha subito vari cambiamenti negli anni. I Camaleonti sono stati un brand oltre che una band. Pur senza la spinta dei media, questi gruppi dal successo degli anni Settanta sono arrivati fino alle feste di piazza di oggi. «Le major del resto lo ammettono - spiega Lavezzi -: la maggior parte del fatturato non arriva dalle nuove produzioni ma dal catalogo, ovvero da opere del passato che hanno avuto grande successo e continuano ad essere riproposte ad esempio nei karaoke. Basta pensare a Battisti e Pupo. Il perché? Sono canzoni che si possono cantare. Niente rock, ma soprattutto niente rap così difficile da fare proprio. Il pubblico delle feste di piazza poi non è molto giovane e si fa coinvolgere soprattutto da brani del passato».
antonio cripezzi tonino dei camaleonti
E Tonino Cripezzi? Lavezzi condensa il suo pensiero in una parola: «Tonino era l'entusiasmo - dice -. L'entusiasmo con cui ci tuffammo nell'avventura musicale: io e lui, con Gianfranco Longo (poi passato con I ragazzi della via Gluck), Mimmo Seccia, creatore di locali notturni, e Bruno Longhi, giornalista sportivo».
Montalbetti, invece, lo immagina sul palco al concerto dell'altra sera: «C'erano quasi ottomila persone. Il segreto? La scelta delle canzoni. Ai nostri tempi in Italia andavano ancora la lirica e la canzone napoletana. Ma noi giovani di notte ascoltavamo Radio Luxembourg sognando i Beatles. Un sondaggio rivelò che c'erano 3.200 complessi allora in Italia innamorati di quel quartetto. Non esisteva una produzione italiana e così riproponevamo, tradotte, canzoni straniere. Noi, come Dik Dik, avevamo inciso Sognando la California, dei The Mamas & The Papas. Veneravamo i Beatles. Soprattutto quando Lennon disse "Siamo più popolari di Gesù Cristo". Ed era vero». Da lì la spinta a importare la rivoluzione beat anche in Italia con una convinzione: «Se quelle canzoni piacciono a noi, perché non devono far sognare anche gli altri?».
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