Giuseppe Pollicelli per “Libero quotidiano”
C’è il giornalista della carta stampata, ma anche dirigente di lungo corso di Rai Fiction, che taccia Lucio Dalla di ipocrisia per avere sempre glissato circa la propria omosessualità. C’è il corsivista notissimo, fresco direttore del quotidiano da lui co-fondato, il quale, rivendicando una salda benché tardiva amicizia con Dalla, ribatte che la riservatezza del musicista sulle sue inclinazioni sessuali è, al contrario, una lezione di stile e di eleganza.
C’è infine il romanziere prolifico e narciso, che del suo essere omosessuale ha sempre fatto una bandiera, il quale informa che lui, con il quotidiano diretto dal corsivista notissimo, non collaborerà più perché è assolutamente vero che Dalla fosse un ipocrita e perciò chi lo difende è ipocrita quanto Dalla se non di più.
Chissà se l’ultima polemica «impegnata» prodotta dall'intellettualità italiana si arricchirà di nuovi partecipanti oppure - dopo avere rapidamente consumato il proprio ciclo vitale come oggi accade a qualunque dibattito più o meno definibile come culturale - è già prossima a concludersi, magari con lo scrittore prolifico che fa la pace con il notissimo direttore di giornale.
Per adesso i tre protagonisti della querelle hanno dato vita a un vivace scambio di punti di vista che, dopo l'intervento tra l’isterico e l’avvelenato del prolifico scrittore, ha corso il rischio di trasformarsi in rissa. Lo scrittore prolifico, lo si sarà capito, è Aldo Busi, mentre il famoso corsivista-direttore è Marco Travaglio, e i tavoli su cui i due si sono finora confrontati sono il quotidiano Il Fatto e il sito Dagospia.
A dare inizio a tutto è stato però Pino Corrias (il giornalista e dirigente Rai di cui sopra), che proprio sul Fatto ha rivolto a Dalla un risentito attacco: «Ma siccome (di essere omosessuale, ndr) ce lo ha tenuto nascosto da uomo pubblico dotato di immensa libertà, oltre che status e ricchezza, immenso è stato il suo inganno. (…) L’ipocrisia è stata il suo limite».
Travaglio, sempre sul Fatto, ha puntualizzato che Dalla, curioso di tutto, era di ampie vedute anche sotto il profilo sessuale e quindi non lo si può in alcun modo definire «gay» (Travaglio giura che gli piacessero pure le donne). Busi, a questo punto, perde le staffe e consegna a Dagospia un lungo sfogo in cui rincara la dose contro Dalla («menefreghista doc» che non ha mai mosso un dito per i diritti civili e si è disinteressato delle sorti del suo compagno di vita Marco Alemanno) e, come del resto aveva già fatto giorni fa a proposito della vicenda Rcs-Mondadori, prende nientemeno le parti di Berlusconi, la cui sessualità il Fatto non ha mai rispettato malgrado essa sia «infinitamente meno immorale di quella di Dalla perché manifesta».
«Travaglio stia pure con i suoi cadaveri, di fatto o ambulanti che siano», conclude Busi prendendo cappello, poiché «un vivo come me è al di sopra della sua portata e del suo foglio». Salvo piazzare lì, con sfacciato colpo di coda, uno spottone al suo prossimo romanzo Vacche amiche (un’autobiografia non autorizzata), di imminente uscita, definito sobriamente «proprio bello, divertente, sessuale, logico, compassionevole, avveniristico, anticlericale e di quella sana oscenità pagana di una volta».
LUCIO DALLA IN UNA FOTO SENZA PARRUCCHINO
Sempre su Dagospia, Travaglio replica a Busi sottolineando come «attendere la morte di Lucio Dalla per cominciare a rinfacciargli i suoi presunti peccati che, lui vivo, non gli sono mai stati rimproverati, non sia proprio una lezione di eleganza». Già. Ma in fondo la stessa cosa, nei confronti di Dalla, l’ha fatta Corrias, che Travaglio ci tiene a definire «suo amico».
E forse non è tanto elegante neppure ricorrere all'autorità «direttoriale» (come la chiamerebbe Busi) per disinnescare l'opinione di una propria firma, vizio peraltro frequente al Fatto visto che qualche mese addietro la stessa cosa era capitata all’esperto di antiriciclaggio Ranieri Razzante, titolare di un blog sul sito del quotidiano e mazzuolato pubblicamente da Peter Gomez per avere osato invocare sanzioni contro chi vilipende le istituzioni dello Stato (da allora Razzante non ha più aggiornato la sua pagina).
Chi ha ragione, dunque? Dal momento che vedere un proprio articolo rubato da Dagospia, rappresentando una delle poche speranze di essere letti da qualcuno, è ormai la principale e addirittura dichiarata - altro che l’omosessualità di Dalla - aspirazione di chi pratica il cosiddetto «giornalismo culturale», forse alla fine hanno tutti ragione. O, più probabilmente, tutti torto.