Giancarlo Dotto per il Corriere dello Sport
Aveva così tante rughe che ogni volta mi stancavo di contarle. E allora ho cominciato a fotografarle. Lo scugnizzo mitologico, metà pugile e metà editore, aveva messo su a sua insaputa 84 anni e se ne fregava di dover morire, anche se considerava l’eventualità della sua fine qualcosa a metà tra una stranezza stupefacente e una rottura di coglioni. Negli ultimi mesi si preparava a lasciarci.
S’era fatto evanescente e smemorato, i suoi bellissimi occhi perdevano colore, e i suoi zigomi, quando lo baciavi, erano freddi come il marmo. Stava già morendo, con l’eleganza che gli era congenita. Il poco fiato che gli restava era per fumare, per tossire e per imprecare contro chi lo batteva e lo sfotteva a scacchi.
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Non più il suo grande amico, l’avvocato Sergio, un mucchietto d’ossa geniale, la barba che pesava più delle ossa, morto un anno prima; e non ancora me, la riserva dell’avvocato, al tavolino quadrato, come un ring, pieno di cicche della sua celebre libreria a piazza Dante, dov’è transitato almeno una volta tutto il mondo. Amici, intellettuali, guappi e postulanti. Se Jean Gabin è il porto delle nebbie, Tullio Pironti è piazza Dante, partorito dalle viscere della città borbonica, i Tribunali, Forcella, Spaccanapoli. Quei vicoli. Gli stavano addosso come una seconda pelle.
Era un uomo dolcissimo e gli volevo bene. Anche quando lo scugnizzo che era in lui imbrogliava le carte e le regine, più che mai gli voglio bene ora che sta dentro le sue spoglie mortali e il suo maglione dolce vita, e proprio non ce la fa ad accendersi l’ultima sigaretta. Spento per sempre. Le mani. Che uscivano dalla tasca della giacca o del cappotto col bavero alzato solo per l’essenziale, accendere una Pall Mall o mostrare come si proteggeva da pugile negli anni ’50.
La destra sulla mascella destra, la sinistra sul mento e la spalla a guardia della mascella sinistra. “Come una testuggine”, mi spiegava. “La mia boxe? Una sintesi di fifa e di talento”. Scappava e colpiva. Nella vita, invece, amava l’azzardo. Quella volta a Venezia che quasi picchiò il croupier per aver anticipato il Rien ne va plus. Audace, quasi pazzo, da editore. “Un grande pugile mancato e un grande editore mancato”, si definisce lui nella sua autobiografia, Libri e cazzotti, due generi in via di estinzione. Libri tanti, cazzotti pochi.
I suoi racconti. Di quando, da dilettante, insieme a Nino Benvenuti era una promessa della boxe italiana. Di quando stese Tongo Troianovic, una montagna di zingaro. Il ring a Capua nel loro campo profughi. Un inferno. “Avevo una tale paura che lo colpii con una violenza inaudita, indietreggiando. Poi lui morì in una rapina a New York”.
O quando salivano volontari, lui e i suoi amici, sulle navi americane ormeggiate nel golfo di Napoli per svagare i marines su ring improvvisati. “Ci spruzzavano di ddt per disinfettarci. Ci facevamo menare ma scendevamo dalle navi con le tasche piene di whisky, sigarette e cioccolata”. E quella volta che chiuse con la boxe. “L’avevo promesso a me stesso, avrei smesso al primo kappaò serio. Si chiamava Zara, un torinese che menava come un boscaiolo. Il suo destro al mento mi fulminò”.
La prima volta, quindici anni fa. Volevo conoscerlo. La scusa fu un’intervista per “La Stampa”. Finiva così: “Sì, mio padre ha vissuto 102 anni. Ma lui non beveva, non fumava e fotteva. Io sono l’opposto, bevo, fumo e non fotto”. Da allora, prendevo il treno per Napoli solo per andare a trovarlo. E incassare, come saluto, i suoi montanti destri. Amabile nella sua vanità. L’ultima volta. Antonio Franchini l’aveva reso felice. “Pubblicherà la mia biografia per la Bompiani”.
Leggetela, quando sarà. Non perdete, stolti se lo fate, l’occasione di conoscere un grande uomo. Le sue storie di adolescente nei bordelli di Mezzocannone. I suoi kappaò vincenti da editore.
Tullio Pironti Nanda Pivano giancarlo dotto in versione tricolore foto di bacco
Ha fatto conoscere in Italia Raymond Carver e Don DeLillo. Con il grande Joe Marrazzo ha pubblicato libri sulla camorra. I diritti di Bret Easton Ellis li vinse in un’asta telefonica, battendo il gigante Mondadori. “Mi spiegarono che l’unico modo per spuntarla era offrire più di 50 milioni, oltre i quali le grandi case editrici dovevano convocare il consiglio di amministrazione”. Vinse, offrendo 55 milioni che non aveva. Fernanda Pivano lo adorava. Federico Fellini voleva pubblicare con lui i suoi ritratti di donne nude. “Seppi poi che fu Giulietta Masina a mettersi di traverso. In quell’album c’erano tutte le donne che Fellini aveva desiderato e amato, tutte tranne che lei”.
Avevamo deciso con Luciano Spalletti di andare a trovarlo nei prossimi giorni. La storia di Pironti lo aveva incuriosito. Sarebbe stata una grande sorpresa. Non andrò mai più a piazza Dante.
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