MA E' VENEZIA O UN ANIMAL PORN? DOPO 101 MINUTI DI “BOI NEON” DI GABRIEL MASCARO CON PULEDRI A MEMBRO RITTO, MASTURBAZIONI ANIMALESCHE, MADRIANI INONDATI DI SPERMA CAVALLINO, DEPILAZIONI PUBICHE IN PRIMO PIANO E BAMBINE AFFONDATE NELLO STERCO, IL PUBBLICO SENTENZIA “BELLA MERDA”

E per “Boi Neon” di Gabriel Mascaro, viaggio nel mondo dei vaqueros brasiliani impegnati a organizzare rodei e a osservare la trasformazione in senso industriale del proprio territorio, in competizione nella sezione Orizzonti, sono fischi, urla, lazzi e insulti in un’atmosfera western…

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Malcom Pagani per il “Fatto quotidiano”

 

BOI NEON BOI NEON

È arte? È monnezza? Nel dubbio, dopo 101 minuti di puledri a membro ritto, masturbazioni animalesche, mandriani inondati da sperma cavallino, depilazioni pubiche in primo piano, scopate selvagge di donne a un soffio dal parto e bambine brasiliane di nome Cacà affondate nello sterco, il pubblico decide di esprimersi filologicamente a titoli di coda ancora in corso. “Bella merda” si sente gridare.

 

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E per Boi Neon di Gabriel Mascaro, viaggio nel mondo dei vaqueros brasiliani impegnati a organizzare rodei e a osservare la trasformazione in senso industriale del proprio territorio, in competizione nella sezione Orizzonti, sono fischi, urla, lazzi e insulti in un’atmosfera western. Ai suoi tempi, dando vita da maestro del genere a un cinema molto diverso da quello del 32enne di Recife, li riceveva anche Sergio Leone.

 

Divideva la critica e disgustava i più, ma piaceva a Bertolucci perché, disse Bernardo: “Ami il modo in cui Sergio gira il culo dei cavalli, solo lui e Ford lo fanno vedere, gli altri riprendono la bestia davanti o di fianco”. In attesa di vedere se il realismo equino di Mascaro convincerà la giura guidata da Demme, in concorso, con tanto di citazione per C’era una volta in America, è passato Marguerite firmato dal francese Xavier Giannoli.

 

BOI NEON BOI NEON

Bizzarro apologo sull’ipocrisia e sull’equivoco tratto da una storia vera, ironica fotografia di una donna di buoni natali e ricco portafogli, ma senza apparente talento che all’inizio degli anni ’20 sogna di esibirsi in pubblico nonostante la voce stonata. Altri toni, timbri e isterismi per l’arrivo di Johnny Depp. Per vedere l’alieno in giacca verde sorridere con i denti d’oro, l’eterogeneo pubblico di adolescenti accampato a fianco della passerella in faccia alla Sala Grande si è superato affrontando la notte nella speranza di un contatto. Con l’ottimo Black Mass- L’ultimo gangster diretto da Scott Cooper, a bordo di una lancia denominata “amore”, Johnny e parte del cast sono sbarcati davvero.

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In forma ingenua: “We finally meet you”, con i cartelli disegnati a mano e gli ombrelli per difendersi dal caldo, i fedeli aspettavano l’orazione, il bacio, l’autografo di un attore che -confessa per paradosso in conferenza stampa- non ha ancora deciso di essere tale fino in fondo.

 

Lui li ha gratificati: “Le persone che aspettano per ore al solo scopo di salutarmi sono i miei datori di lavoro”. E ha dato poi notevole spettacolo con una birra in mano: “È analcolica” di fronte a giornalisti che –replicando la Guernica esterna con scompostezza infinitamente maggiore dei comuni fan, spintonandosi, mulinando braccia e corpi e alzando i gomiti, assediavano il bancone degli oratori a caccia di uno scarabocchio del divo sul programma della Mostra.

 

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Depp ha concesso agli astanti quel che si attendevano, discusso con lucidità del proprio mestiere, elargito freddure sui propri cani: “Non li ho portati con me, li ho uccisi e mangiati”, ragionato sull’aura maledetta che da sempre lo accompagna: “Il male l’ho incontrato molto tempo fa, faceva parte di me, ormai siamo vecchi amici”.

 

In Black Mass, altra vicenda reale tratta dal tomo di Gerard O’Neill e Dick Lehr (nelle librerie italiane con Rizzoli, nei cinema con Warner) si mette in scena la parabola di un altro sodale delle tinte nere, James Bulger detto “Whitey”, criminale scorsesiano di ascendenze irlandesi che nella violentissima Boston dei ’70 (ancora la città di Spotlight, con venature non esattamente apologetiche) smerciava droga, guadagnava milioni e uccideva i nemici a mani nude per uno sguardo di troppo.

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Nel disegnare il personaggio, il suo aleatorio compromesso con l’Fbi in chiave anti italiana (grazie all’amico di infanzia John Connolly, uno strepitoso Joel Edgerton, Bulger fingerà di diventare informatore dei federali continuando a delinquere come e più di prima), la sua anima divisa in due (paranoico, spietato e violento nel consolidare il proprio impero, dolce e paterno con figli, madri, povere vecchie della South Boston e fratelli lanciati in politica) Depp, irriconoscibile e stempiato: “Il tema della trasformazione fisica mi ha sempre affascinato” ha dovuto impegnarsi in sfumature più numerose di quelle di color grigio interpretate da Dakota Johnson che gli siede accanto e che in territorio lagunare rivedremo anche in A bigger splash di Luca Guadagnino. Non è stato difficile, sostiene: “Perché ho continuato a considerare Bulger come un essere umano”.

 

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Nessuno, giura Depp: “Si alza la mattina, si fa la barba, si guarda allo specchio e si confessa di essere cattivo”. Alla proiezione per la stampa delle 11, soddisfazione dei presenti per il dispetto di Tatti Sanguineti che seduto al centro della sala Darsena, a giochi fatti, smoccolava: “Black Mass non vale niente, 10 secondi di Joe Pesci in Quei bravi ragazzi sono superiori a due ore di ‘sta truffa”. È uscito all’aria aperta quando dentro applaudivano ancora. Il sole alto che a sera virerà in tempesta e nuvoloni neri. Le biciclette in ordinata fila. Oggi va in battaglia il primo italiano in gara. Si chiama Messina e siciliano, è veramente. 

 

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