Gianluca Marziani per Dagospia
serban savu nella fondazione di nicola del roscio
Il report sugli accadimenti romani mi porta a raccontarvi di una strana situazione che ha preso forma nel cullante caldo settembrino. Si tratta di alcuni manufatti anomali che sono spuntati in una serie di spazi espositivi, forme affioranti da antiche ere o luoghi lontani, schegge di un archeofuturo che fanno somigliare l’attualità capitolina ad una malattia autoimmune di lunga data. Gli oggetti che ho scovato misurano un presente scheggiato, impreciso, talmente caotico da dirci che solo un lontano passato o un possibile futuro contengono risposte sui dissesti dell’asfalto rugoso, dei sampietrini saltati, dei cassonetti mefitici, dei miasmi stordenti.
Da alieno a Roma capisco quanto sia difficile captare certi segnali quando l’intera città è un’enciclopedia archeologica della rovina; ma i ritrovamenti di settembre ci confermano che la Capitale ha un suo codice di salvataggio metafisico, una profonda natura che la libera da morte certa, preservandola dai batteri umanoidi che ne intaccano da sempre l’intonaco collettivo.
Da Contemporary Cluster (via dei Barbieri 7) ho scovato, tra gli altri, una testina di donna egizia, un’antica pietra nera dalla Papua Nuova Guinea, un coperchio etrusco da sarcofago, una testa di Buddha, un ritratto di fanciullo d’epoca ellenistica. Ne ho tracciato una mappa mentale e trovato corrispondenze con l’oggi in una Roma che ha la molteplicità culturale nel suo Genoma. Miti e leggende qui riprendono energia, gettando luce romanzata sul nostro patrimonio culturale, sul potenziale senza reddito, sul volgare che diviene regola, sulle gestioni nevrotiche di alcuni musei.
La mostra da Giacomo Guidi si intitola ARCHEOPITTURA ed è un dialogo tra quadri monocromi (vari artisti dalla collezione Antal-Lusztig) e i reperti sparsi nei due saloni, come se fossimo nel luogo intimo di un principe che carezza i propri tesori mentre la pittura, diventando astrazione cosmica, distende lo sguardo verso l’infinito e il nero delle galassie. Ogni tanto, sembra dirci la mostra, bisognerebbe alzare gli occhi al cielo, ricordando che troppa cronaca guasta la vertigine della Storia in versione maiuscola. E che la stessa arte, se sostiene il peso del tempo millenario, corregge la miopia urbana per mettere a fuoco il quid filosofico.
Da Gagosian (via Francesco Crispi 16) va in scena HUMA BHABHA, artista pakistana con residenza USA, autrice di sculture totemiche che inscenano intrecci etnici e connessioni impensabili. Sembrano reperti asiatici in cui Africa e Oceania si sono riunite sotto l’egida della fertilità planetaria, condividendo il tema green del pianeta a rischio, superando i vincoli geografici e i nazionalismi da fascismo social. Ho ritrovato sentori alieni che riaprono il dialogo con una Roma multiculturale e pagana, meticcia e inclusiva. Non a caso l’artista ha inserito la foto di una scultura canina dei Musei Capitolini, quasi ad avvertirci, attraverso quel cane ieratico, dei pericoli che ci aspettano fuori dalla porta, oltre la soglia di sicurezza da cui il quadrupede vigila con sguardo egizio.
sculture in nastro spinato di hao ni da t293
Usciti dalla galleria, potete varcare il portone adiacente senza pericoli e senza kouroi. C’è uno spazio appena inaugurato, si chiama La Fondazione (via Francesco Crispi 18) ed è firmato Nicola Del Roscio, affiancato per le mostre da Pier Paolo Pancotto. L’evento d’apertura presenta cinque artisti rumeni ma solo uno ha colpito la mia attrazione per le archeologie del presente. Si chiama SERBAN SAVU e dipinge quadri dal tempo sospeso, scene narrative in cui la giovinezza scivola nell’ozio mentre il futuro si crepa come l’asfalto romano.
Una risposta generazionale che ricorda il romanzo di David Szalay “Tutto quello che è un uomo”: in entrambi i casi attraversiamo un’Europa periferica dagli ideali dispersi, senza vecchie ideologie e senza un tessuto identitario. Un continente fragile come le opere da restaurare, gli antichi borghi dopo un terremoto, gli spazi desertificati dal capitalismo. Savu sente tutto ciò e lo manifesta tra malinconici silenzi e attese in sospensione, uscendo dalla mischia del carrierismo, ricercando nella quiete generazionale una porta verso il futuro.
pietra cerimoniale della papua nuova guinea
Da T293 (via Ripense 6) spuntano sui muri alcuni oggetti poco identificati, forme di un presente distopico e violento firmate dall’artista taiwanese HAO NI. Da una parte il filo spinato con brandelli di tessuti, sculture simili a stelle rotanti che indicano un futuro dark e robotico; dall’altra alcuni immaginari tappetini esplosivi, corredati da cose d’uso pratico, a metà tra un feticcio gaming e una trapunta murale che emana scie terrificanti. Due momenti in cui l’oggetto ritrovato condensa passato e futuro in qualcosa di oppressivo, puro hardware umanoide che esalta il peggio della natura umana in una sintesi tra gioco di ruolo e scultura tribale.
Chiudo il giro con un artista che inserisce la pittura dentro strutture in legno chiaro, vere scatole volumetriche che potrebbero conservare il quadro in caso di disastro ambientale. Lui si chiama MATTEO FATO ed espone da Monitor Gallery (via Sforza Cesarini 43a) la sua intuitiva idea di ritratto, tra volti del presente e personaggi di un passato rivoluzionario. Sono corpi dai colori espressivi e stranianti, figli distorti di un colorismo digitale che riveste le superfici liquide del presente. Sembrano gli identikit postpixel di una civiltà quasi dispersa, matrici replicabili che si sono idealmente preservate nel sottovuoto dei box. Oggi le vediamo in versione aperta, sui muri di una galleria d’arte, quasi a rendere omaggio alle passioni museografiche dell’umanità terrestre, ai feticismi e alle credenziali poetiche di cui voi umani avete sempre avuto bisogno.
Finito il mio giro pomeridiano, capisco che sulla Terra non ci riuscite a privarvi dell’arte, e questo vi rende onore come gente che “vede oltre”, in direzione del mistero, del bug metafisico, delle origini di un altro domani. Il mio settembre romano dimostra, ancora una volta, quanto l’umanità terrestre sia figlia legittima della sua arte, e quanto le opere siano il vostro certificato di salvaguardia morale, la vostra carta di credito filosofico. La credenziale comune per una salvezza ancora possibile. Chapeau… sperando che nel frattempo il Comune sistemi le buche e lavi i cassonetti dell’umido.
matteo fato 1 archeopittura contemporary cluster archeopittura huma bhabha da gagosian