Gianmaria Tammaro per Dagospia
C’è stato un tempo, nemmeno troppo lontano, in cui le piattaforme streaming venivano salutate come le grandi portatrici di novità. Finalmente, si diceva, le cose cambieranno. Finalmente ci sarà più spazio per le idee, per gli esperimenti, per un’alternativa alla televisione tradizionale. E invece no, la fiamma della rivoluzione si è spenta prima ancora di cominciare a rosicchiare la miccia e ci siamo ritrovati punto e a capo.
Perché i soldi sono i soldi, e quando una cosa funziona – poco, tanto o per pura fortuna – non viene mollata finché c’è la possibilità di sfruttarla. Pensiamo a LOL: a quante edizioni siamo arrivati? E dopo quanto tempo quest’idea freschissima, arrivata dall’estero, si è trasformata in un tormentone tormentato?
Ora c’è anche il talent per scegliere il nuovo concorrente: rendiamoci conto. Ma finché funziona, diranno i grandi analisti dei numeri, va bene. E certo. Finché funziona, possiamo ignorare il pubblico, il mercato e possiamo continuare a fare sempre le stesse cose. Ora pro nobis. Anche se le nuove proposte stanno finendo, anche se l’effetto sorpresa delle prime edizioni si è praticamente esaurito e anche se, alla fine, si va contro la stessa natura dello streaming.
Prime Video, però, non è la sola. Per carità. Su Netflix è arrivato Nuova scena, che è – di fatto – un talent show che sfrutta meccanismi e linguaggi che abbiamo già visto altrove (X-Factor, soprattutto). Ma questo tipo di produzioni hanno un costo, tutto sommato, limitato ed è più facile, diciamo così, prevederne l’andamento e il seguito. E allora via, proviamoci. Italia’s Got Talent è passato dalla televisione lineare a Disney+, ed è stato tutto un “è andata bene, benissimo”, “è stato un successo”, “che numeri, che seguito”.
La sensazione, al di là delle singole decisioni e delle singole linee editoriali, è che lo streaming – inteso come mercato – si stia inesorabilmente adeguando alle tendenze della televisione generalista. E non perché, dietro, ci sia una valutazione effettiva che suggerisce di fare così. Ma perché, il più delle volte, è più semplice. Ed è un peccato. Principalmente per un motivo: si punta al risultato immediato, sul breve termine, a quello che si può avere subito, e non si pensa al futuro – né a quello prossimo né a quello più lontano.
faccende complicate di valerio lundini
La competizione tra canali e piattaforme sta diventando, banalmente, una corsa a chi rilancia di più, a chi è pronto a investire più soldi per comprare questo format, assicurarsi questa esclusiva e avere questi incredibili presentatori. E in tutto questo il paradosso – in senso buono, intendiamoci – è che le più grandi novità, in tema di unscripted e di show, le sta distribuendo Raiplay. Che ha capito l’importanza di investire sul talento dell’autore, di chi ha l’idea, e non solo nel cercare la grossa partnership con la grossa produzione – i pitch sono belli, riempiono le riunioni e fanno felici tutti; ma è fondamentale tenere in considerazione la realtà delle cose, quanto sia effettivamente difficile arrivare a un punto, a una sintesi e risolvere problemi che, più o meno ogni giorno, si presentano.
conferenza stampa di giovanni benincasa
Su Raiplay, dicevamo, ci sono le più grosse novità. Pensiamo alla Conferenza stampa di Giovanni Benincasa e a Faccende complicate di Valerio Lundini. Sono costati tanto? Hanno stravolto i bilanci della Rai? Oppure, semplicemente, sono buone idee che riescono a funzionare, a incontrare l’interesse e il plauso di un certo pubblico e di una certa critica senza chiedere grossi sacrifici? Qualche giorno fa, Renzo Arbore ha detto una cosa sacrosanta. E cioè: prima si teneva in considerazione anche l’indice di gradimento e non solo quello d’ascolto; e facendo così, si poteva inventare, sperimentare e rischiare.
La televisione generalista, dalla sua, ha il tempo e i soldi. Fa parte del sistema, è una delle sue fondamenta. Le piattaforme streaming, dopo le promesse e le premesse di investimenti e infusioni di soldi, hanno ripensato alla loro struttura, si sono “italianizzate” per sopravvivere e rischiano, così, di non guidare il mercato, ma di diventarne il fanalino di coda.
Forse, alla fine, la rivoluzione migliore non è voler distruggere a tutti i costi quello che già c’è, ma saperne leggere le regole, appropriarsene e volgerle a proprio vantaggio. Il tempo, dopotutto, è poco. Ed è la risorsa di cui tutti, oggi, hanno bisogno. Reed Hastings docet. Il nostro più grande competitor, diceva qualche tempo fa, è il sonno. E se non sarà una risata a seppellirci, lo farà la noia.
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