Barbara Costa per Dagospia
Mussolini ha paura della pannocchia. Ma se lì la pannocchia non c’è! No, non c’è, ma c’è lui, "l’uomo della pannocchia", l’americano William Faulkner, che ne scrive servendosene a dildo stuprando, e perché il fascista popolo italiano deve leggere queste porcherie? Perché mettergli in testa che, in ogni persona, “c’è perdizione, c’è marciume, e c’è il Male, per prima cosa”, e che della morale, ogni morale, puoi f*ttertene, dato che l’animo umano dalla corruzione non si salva, non si vuole salvare? Che si ritiri quell’antologia, si distrugga, anzi no. Fatela uscire… "addomesticata".
Opponetegli una prefazione, a firma Emilio Cecchi, uno fidato, e che lo vanti, che gli italiani sono migliori e superiori agli “americani barbari” a cui abbiamo dichiarato guerra. Con noi non avranno scampo.
Deve aver ragionato così, Mussolini, alle prese con "Americana", l’antologia di letteratura USA curata da Elio Vittorini. Più che ragionato, il Duce si è illuso, che le frescacce apposte da Cecchi per fermare una tale americana ferocia di parola, una tale forza dell’uomo che sa riscattarsi, e sa ribellarsi contro il Potere, non attecchissero nella penisola. Io non so se Emilio Cecchi si sia mai vergognato delle cattiverie e delle bugie immani che ha vergato in ossequio al Duce per indebolire (invano) la potenza istintiva e ruggente negli scrittori USA, che in Italia dilagherà nel secondo dopoguerra grazie a Nanda Pivano. Ma fermenti ribollono già da prima, e sono fermenti politici, e accesi, e sono fermenti sessuali.
La letteratura statunitense è "fatta" di sesso, e Vittorini non può non saperlo, tenta di celarlo nella sua "Americana" che a leggerla oggi, nell’ultima edizione Bompiani, non ha perso nulla della sua carica. Vittorini può sì epurarlo, il sesso, snobbarlo, selezionando con cura estratti limati e casti, bilanciando parola per parola, ma non ci sarebbe stata alcuna censura, alcun bisogno di prefazione correttiva, se Americana non fosse impregnata di libertà umana, politica, e tanto sessuale.
Puoi preferire passi puliti di Steinbeck, Hemingway, Poe, di Melville, di Hawthorne, “maestri del sangue versato”, ma non puoi abolire che Steinbeck ha scritto "Furore" e che vi mette in scena il sesso, il naturale desiderio di sesso, nelle donne, con un finale, il seno gonfio di latte poppato a sfama degli adulti, che mima la lactofilia. È come un cazzotto in pieno volto. È americano.
Non puoi tornare a casa, e non puoi girarci intorno, con Hemingway che ha posto in "Addio alle armi" sesso esplicito, in un letto di ospedale, tra un uomo e una donna che lo vogliono e si vogliono. Hemingway per i più stolti passa per maschilista ma nei suoi libri le sue donne sono vive e in prima persona attive nel sesso: sono pagine alte di orgasmi tangibili, e umidi, ed è un orgasmo femminile, quello che gemito dopo gemito "senti" in "Per chi suona la campana". A opera di un pene che sa il fatto suo.
Puoi ometterne le righe scabrose ma non puoi sempre occultare il sesso degli scrittori, sesso da loro vissuto e ributtato su pagina. Parte degli autori presentati in Americana non sono etero. Sono gay, e, quando non lo sono, fanno lo stesso letteratura omoerotica come gli riesce e gli piace. Vittorini non può dir parola sulla reale identità sessuale di Walt Whitman, lo definisce non un “adesivo”, slang che per Whitman sta a gay, né un “invertito” (termine che Radclyffe Hall, nel suo "Il pozzo della solitudine" del 1928, conia per la sua protagonista trans, ma qui siamo a vette di sessualità "altra" troppo altre per Americana) bensì “un eccentrico, di rozza cultura”, e tuttavia non può fuggire ai “suoi versi che sono, volta per volta, una misura nuova: nulla mai si ripete”.
Vittorini non può scriver parola sulla reale identità sessuale di Gertrude Stein – una che non si è nascosta – ma va lodato per averne risaltato “l’energia da inerzia, la Stein ha ripreso dai neri la loro rivolta, le loro oscurità segrete, rielaborandosele. La scrittura della Stein avanza, retrocede, e avanza, come il passo della musica e della danza nera”.
Vittorini reputa che Emily Dickinson sia una donna “inappagata”, e che eppure abbia “dato il massimo, in un’epoca di femminile soggezione, col carbonio puro dei suoi versi”, e dice il sacrosanto sulle quattro "Piccole Donne" della Alcott, cresciute all’unico scopo di trovare marito, servirlo, farci figli, servire tutti: “Un romanzetto, di psicologia spicciola, dal significato patetico”.
Mussolini non si accorge che in due righe Vittorini gli distrugge il mito della donna fascista passiva e sforna-figli? D’altronde che i fascisti tra loro fossero ignoranti e ridicoli è notorio. Quando a Nanda Pivano sequestrano le prime traduzioni, non le toccano il lavoro su Sherwood Anderson e solo perché al momento da lei titolato "S. Anderson" e quella S i fasci credono stia per "Santo"! La 25enne Nanda Pivano i fascisti sotto interrogatorio l’hanno molestata, minacciandola di violentarla, uno dopo l’altro, se non avesse smesso di leggere e tradurre scrittori così deviati, triviali, “un culto fanatico di spettacolose esibizioni di sangue e di sesso”.
Questo è stato il Ventennio, altro che Mussolini ha fatto anche cose buone, o le fesserie scritte da Cecchi per paura, di cosa, che qualche sparuto lettore si potesse svegliare scosso all’ipotesi “che la vita potesse avere uno sviluppo nuovo”? A queste verità di Elio Vittorini, Cecchi antepone ingiurie: Jack London “è un balordo”, Anderson “è un disadattato”, e Sinclair Lewis “è fuori da questa raccolta” perché è ebreo: la sua "Ann Vickers", per Cecchi “va a letto con questo e con quello, è una specie di ragno che zampetta nel vuoto, un essere senza visceri”.
Le donne USA in letteratura e nella vita vera secondo Cecchi sono “demenza erotica, isteriche sgualdrine, cariche di whisky, e di scompensi sessuali”. Parlando degli USA, Emilio Cecchi capitola nella retorica la più guasta: li biasima “Paese senza storia”, e meno male che ci sarà la Pivano che si sgolerà a scriverlo, che non è vero, perché “gli Stati Uniti hanno succhiato dall’Europa le radici, e se ne sono nutriti, ma sono andati oltre. Com’è nella loro natura.
L’America per prima critica sé stessa, e reagisce sempre. Sono gli americani 200 anni più vecchi di noi perché loro sono entrati 200 anni prima nella contemporaneità”. Intanto Cecchi è sicuro: gli Stati Uniti “sono a noi civiltà minore perché mettono al primo posto il benessere, la felicità materiale”. Chiamali fessi! Invece passare la vita a patire la fame da ignoranti com’è stato per il 90 per cento degli italiani fino al Piano Marshall, è meglio?!?! Conclude Cecchi: “L’America brancola alla ricerca della propria unità etnica e etica”. È il 1942. Due anni, e ci avrebbero fatto il c*lo. Salvandoci da noi stessi.
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