Marco Giusti per Dagospia
Impossibile non averlo amato come Omar Little, quello che ruba ai narcotrafficanti, nelle 51 puntate di “The Wire”, una delle serie poliziesche più viste di sempre, o come Chalky White, venditore d’alcol clandestino di Atlantic City amico/nemico del Nucky Thompson di Steve Buscemi nelle 46 puntate di “Boardwalk Empire” ideate da Martin Scorsese e Terence Winter.
Nero, con la sua ben riconoscibile cicatrice sulla fronte e uno sguardo impossibile da dimenticare, Michael K. Williams, morto a 54 anni per overdose, ha dominato la scena delle grandi serie tv della HBO ottenendo ben 5 nominations agli Emmy, portando dignità e grazia a tutti i personaggi che ha interpretato al cinema e in tv.
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Nato a Brooklyn nel 1966, scoperto da Tupac Shakur, ballerino di grande talento nei tour di Madonna e George Michael, Michael K. Williams passa al cinema una ventina d’anni fa con il bellissimo film di Martin Scorsese “Al di là della vita” , seguito da “Gone Baby Gone” di ben Affleck, L’incredibile Hull” di Luis Leterrier, “Miracolo a Sant’Anna” di Spike Lee. Col taglio sulla fronte frutto di una rissa da bar nel giorno dei suoi 25 anni, dei tipacci lo tagliarono con un rasoio, Williams non credeva di essere così appetibile per i primi piani al cinema.
Era invece il suo tratto indistinguibile che ne fa qualcosa di assolutamente personale e che molti registi, come Todd Solondz in “Perdona e dimentica” hanno saputo usare con grandi risultati. In generale, la sua recitazione alle prese con personaggi violenti, sembrava calma e controllata, ma contraddetta dal suo volto segnato e dal suo sguardo. Grande attore, lo troviamo in due bellissimi film come “12 anni schiavo” di Steve McQueen e “Vizio di forma” di Paul Thomas Anderson.
Con “Bessie” di Dee Rees arriva la sua prima nomination, ma lo troviamo anche in “Anestesia” di Tim Blake Nelson e nel recente “Motherless Brooklyn”. Stava per ottenere il ruolo da protagonista in “Django Unchained” di Quentin Tarantino, ma scelse invece la serialità di “Boardwalk Empire”. E’ nella serialità che arrivano i suoi maggiori successi, da “The Wire”, dove ebbe una grossa crisi di identità che lo portò all’abuso di cocaina, al recente “Lovecraft Country”.
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Stava per iniziare un film sulla vita del pugile George Foreman diretto da George Tillman jr nel ruolo del manager del pugile, Doc Broadus. Lo ha scoperto il nipote, troppo tardi, nella sua casa di Brooklyn.
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