Estratto dell'articolo di Francesco Giambertone per il “Corriere della Sera”
Se va avanti così, a colpi di 70mila nuovi follower al giorno su Instagram, tra un anno ne avrà più di Chiara Ferragni. In ogni caso da qualche giorno, come annunciato ufficialmente, il suo è diventato l’account X (l’ex Twitter) più influente al mondo con ben 4,2 miliardi di interazioni tra commenti, like e repost (più di Elon Musk, fermo a 2,7!).
Parliamo di Fabrizio Romano, nato a Napoli nel febbraio di trent’anni fa, «guru» del calciomercato internazionale.
Per i tifosi di United o Real, Bayern o Al-Hilal, un suo «here we go!» («ci siamo, è fatta») vale una sentenza della Cassazione: la frase-signature di Romano certifica che l’affare andrà in porto. A un paio di settimane dalla chiusura del mercato, su Instagram (dove pubblica solo notizie e nulla della sua vita privata) @fabriziorom ha 22,8 milioni di seguaci, raddoppiati in un anno […]
Partiamo dalle origini: la sua famiglia.
«Mio padre era il presidente dell’Ordine dei chimici della Campania, mia madre è stata primaria di Biologia, oggi entrambi in pensione. A me però i numeri non interessavano. Ero fissato col calcio e volevo provare a fare il giornalista. A 16 anni, durante gli ultimi due di liceo classico, ho cominciato a collaborare con un sito di news sull’Inter, per capire se era la mia strada. Presto ho realizzato che il mercato era la cosa che mi piaceva di più, così a 18 anni mi sono trasferito a Milano».
A 20 anni era già in onda su Sky: come ci è arrivato?
«Devo tutto a Gianluca Di Marzio, che mi portò nella squadra del suo sito e poi a Sky , e Luca Marchetti, che non mi trattò mai come un ragazzino: mi hanno insegnato il mestiere e sarò loro grato per sempre. Il primo giorno a Sky mi mandano a seguire la presentazione di Mauro Icardi all’Inter.
Mi chiedono di fare foto e video, io però avevo un contatto nel suo entourage e torno con un’intervista esclusiva. Per me era il paese dei balocchi. Da lì per anni, d’estate e d’inverno, tutti i giorni, sono stato in giro tra hotel e ristoranti a cercare agenti, direttori sportivi, intermediari. Uscivo di casa la mattina e tornavo a mezzanotte. Ho conosciuto centomila persone. È stata la mia fortuna, il segreto di tutto».
Nel frattempo studiava all’Università?
«Scienze della Comunicazione alla Cattolica, ma dopo il primo anno ho mollato. Andavo anche bene ma mi sentivo più avanti, mi sembrava di studiare per la patente di un’auto che sapevo già guidare. E poi le sessioni di mercato coincidevano con gli esami, dovevo fare una scelta. I miei genitori ancora mi rinfacciano che non ho preso una laurea. Ma ci sta, li capisco».
È vero che a Sky ha rifiutato l’assunzione?
«Io volevo fare solo il calciomercato, e quando dopo diversi contratti estivi e invernali mi hanno proposto di restare in redazione a occuparmi anche di altro ho preferito seguire un percorso diverso. Non per arroganza ma non so niente di vela o di Formula 1, mi sembra di perdere la concentrazione. È stata una scelta un po’ incosciente: sono uno molto istintivo. Non tutti l’hanno capita, ma siamo rimasti in buoni rapporti».
I millennial, la sua generazione, sono spesso dipinti come precari e ipersensibili. Lei invece sembra molto sicuro di sé. Lo è?
«Sono sempre stato molto convinto di quello che faccio. Credo sia dipeso da mia mamma e dall’autonomia che mi ha sempre lasciato: non mi ha mai chiesto se studiavo, dovevo solo portare i risultati, poi il come erano fatti miei. E oggi ci sono molti più modi per arrivare a un obiettivo: i social in questo ti aiutano a provarci, a dimostrare il tuo valore, anche a sbagliare».
Oggi collabora con il «Guardian» e la «Cbs», e sui social pubblica notizie solo in inglese.
«Volevo esportare a livello internazionale il nostro modo “ossessivo” di seguire il calciomercato, in posti come l’Inghilterra dove si affidavano solo a quello che dicevano gli uffici stampa delle società. La svolta è stata il Covid: lì mi sono accorto che il mondo dei social stava diventando tutto per le persone e dovevo puntare su quello. La differenza per me l’hanno fatta l’ossessione e le lingue. Non le ho imparate sui libri ma scrivendo e leggendo, mi sono buttato».
È diventato ricco?
«Guadagno molto più dalle mie piattaforme, cioè Instagram, TikTok e soprattutto YouTube, che dai media tradizionali. Non direi che sono ricco: sto bene, ho una casa in centro a Milano, sono tranquillo».
A luglio ha pubblicato il suo screen time: usa lo smartphone anche 17 ore al giorno. Non è un incubo?
«Fino a settembre va così, dipende dai momenti. L’altro giorno sono andato a dormire alle 5 e mi sono svegliato alle 8.40 perché sapevo che Xavi avrebbe parlato del futuro di Dembelé, non potevo perdermelo. Ma ora sono gli agenti o addirittura i giocatori a scrivermi su Instagram per vedere le news che li riguardano finire sui miei canali. Per me le notizie oggi passano all’80% da lì».
Il «New York Times» l’ha definita «il profeta degli affari», ma qualcuno l’ha accusata di copiare le notizie.
«Quando uno fa un’accusa grave deve avere delle prove. L’anno scorso un giornalista olandese del Telegraaf ha detto nel suo podcast che gli avevo rubato una notizia. Gli ho scritto: “Invitami in trasmissione e ne parliamo. Facciamo un gioco: chiamiamo 10 fonti a testa, chi vuoi tu, e vediamo a chi rispondono”. Non ha accettato e mi ha bloccato su tutti i social».