GOMORRA LA SERIE - MARCO D'AMORE E SALVATORE ESPOSITO
1 - SANTI O CAMORRISTI GLI EROI DELLE FICTION DIVIDONO IL PAESE
Mattia Feltri per “la Stampa”
La fiction italiana - ha detto qualche giorno fa Carlo Freccero, neodirettore del Roma Fiction Fest - si esercita esclusivamente in serie di «puro divertimento, consumo, distrazione» e in serie edificanti «con eroi, giudici santi».
Il relativo mondo, anche abbastanza suscettibile, ha aperto il classico dibattito che si è risolto con Freccero abbondantemente mandato a quel paese. L’ex direttore di Canale 5 e Raidue ha infatti aggiunto che le due specie di fiction «sono destinate ai circuiti delle reti generaliste», mentre la pay tv, e succede soprattutto in America, studia prodotti avveniristici, percorsi da linguaggi nuovi, e così via. Anche Sky, ha aggiunto, citando il recente caso di «Gomorra», ci sta dando dentro e porta a casa i risultati.
Luca Bernabei, direttore di Lux Vide (che produce «Don Matteo», «Che Dio ci aiuti» e miniserie su personaggi come papa Giovanni, madre Teresa e Karol Wojtyla) non l’ha presa bene. «Mi stupisce che Freccero, che ha lavorato tanti anni nella tv generalista, anche Rai, non conosca la differenza con la pay tv. La prima si pone l’obiettivo di raggiungere un pubblico più vasto possibile, la seconda si rivolge a nicchie di mercato».
Il discorso di Freccero è «molto elitario», e pertanto Bernabei afferma di sentirsi «insultato insieme agli otto milioni di persone» che seguono «Don Matteo». Bernabei ha aggiunto che un terzo dei fan di Terence Hill è laureato e che «le dieci fiction più viste nel 2014 dagli abbonati Sky, la pay tv magnificata da Freccero, sono stati dieci episodi proprio di Don Matteo».
Non è mica finita lì. È toccato poi al direttore generale della Rai, Luigi Gubitosi, il quale ha tenuto a spiegare la dottrina dell’azienda, e le ragioni per cui la Lux Vide di Bernabei vi si coniughi benissimo. «A volte ci accusano di buonismo, ma io trovo terribile una fiction in cui un criminale diventa un esempio figo, come direbbero i giovani (cosa che però non succede in Gomorra, ndr). Il ruolo della Rai è quello di aiutare a combattere la criminalità cercando di creare consenso attorno al lavoro della polizia e delle altre forze dell’ordine. Vedere un membro della banda della Magliana (“Romanzo criminale”, ndr) che ha successo è una cosa sbagliata».
GOMORRA LA SERIE - MARCO D'AMORE E SALVATORE ESPOSITO
Ora, a parte il fatto che il direttore generale attribuisce alla Rai un ruolo pedagogico forse non richiesto, e forse stridente con la natura attuale della tv pubblica, commerciale per qualità dei programmi e per introiti pubblicitari, il punto è che si tratta di un ruolo smarrito da tempo, come ci spiega il critico della Corriere della Sera, Aldo Grasso: «Non è colpa di Gubitosi né dei suoi predecessori. Ma la Rai assolveva a compiti pedagogici negli anni Cinquanta, quando si rivolgeva a un pubblico largamente analfabeta e minimamente istruito».
La Rai aveva conseguito un prestigio, dice Grasso, che si è per forza annacquato nel tempo, intanto che gli italiani si sono emancipati dall’ignoranza con la scuola, le collane economiche di letteratura, le enciclopedie in fascicoli, ora Internet. Difficile riconoscere alla Rai una caratura morale, sebbene per tradurre un messaggio non così complicato, e così ben diffuso, secondo cui essere mafiosi è condotta pessima (e comunque Marlon Brando e «Il Padrino» non hanno incrementato le affiliazioni) non sia poi così necessario averla.
marco giallini in una scena del nel quarto episodio di romanzo criminale la serie
Alla fine, più che la portata didattica, a fare la differenza - come giustamente dice Bernabei - è la bellezza della fiction, poiché esistono semplicemente «fiction fatte bene e fiction fatte male». E il punto è questo: il problema è che le fiction italiane all’estero non ci vanno così di frequente. Segnala Grasso che ebbero qualche successo in Francia le produzioni della Taodue («Ris», «Distretto di polizia»), per il resto la nostra roba resta qua.
«Mi piacerebbe che succedesse a noi quello che è successo in Israele, dove sono cresciuti tantissimo e hanno cominciato a esportare serie, la più famosa delle quali è «In Treatment» (in Israele si chiama «Be Tipul», ed è stata ripresa in tredici Paesi diversi)».
Di recente la Rai ha trattato «Una grande famiglia» della Magnolia con Cina, Spagna e Croazia, mentre «Gomorra» si vedrà un po’ in tutta Europa, comprese Germania e Regno Unito, intanto che i nostri canali sono invasi – evviva! – dal «Trono di spade» e da «Downton Abbey».
2 - MAFIA-CINEMA, QUELI INCROCI PERICOLOSI
Federico Varese per “La Stampa”
Alcuni rappresentanti della società che ha prodotto la serie televisiva «Gomorra» sono accusati di favoreggiamento verso il clan Gallo. La vicenda prende le mosse dalla richiesta del pizzo per l’uso di una villa. Secondo la Dda di Napoli, i produttori hanno mantenuto un «atteggiamento omertoso», informando il clan dell’indagine nei loro confronti.
Vi è costernazione e stupore tra i fan della serie ideata da Roberto Saviano, il quale per ora si è espresso con molta cautela. Tutti i diretti interessati sono ovviamente innocenti fino a prova contraria. Eppure non bisogna dimenticare che le produzioni cinematografiche, al pari di altre attività economiche, sono estremamente vulnerabili alla richiesta del pizzo, ed è una pia illusione credere che fare film sulla mafia sia sempre e comunque un modo di combattere il crimine organizzato.
I rapporti tra la mafia ed il cinema sono almeno di due tipi, come ha mostrato a suo tempo il sociologo anglo-torinese Diego Gambetta.
Innanzi tutto, i film sono un prodotto culturale che può raggiungere un’audience mondiale. Non stupisce che i mafiosi siano estremamente interessati alla rappresentazione di se stessi sullo schermo. L’Fbi ha intercettato dei membri di Cosa nostra americana mentre discutono il casting de «Il Padrino», ognuno esprimendo un’opinione sull’attore da scegliere per il ruolo di Don Corleone. A maggioranza, si esprimono a favore di Paul Newman.
Quando un film sulla mafia ha un enorme successo, boss e picciotti si appropriano dei comportamenti, delle espressioni e dei modi di vestire creati dal film. Anche le colonne sonore vengono utilizzate durante feste e pranzi, come racconta l’agente dell’Fbi Jo Pistone, infiltrato nella famiglia Bonanno di New York col nome di Donnie Brasco.
Gambetta spiega che i mafiosi non possono apertamente dimostrare la loro appartenenza al mondo del crimine organizzato, ma vogliono in tutti i modi far capire al pubblico chi sono veramente. Sono perciò costretti a copiare immagini tratte dalle fiction. Le richieste estorsive saranno poi più credibili e la reputazione filmica di violenza efferata aiuta l’organizzazione. Senza dubbio la serie «Gomorra» avrà lo stesso effetto nel contesto campano.
Gli appassionati di semiotica filmica rischiano di dimenticare che produrre cinema è anche un’attività economica molto simile all’edilizia. Come un cantiere, un set cinematografico è fisso e spesso all’aria aperta, e quindi facilmente individuabile. I tempi di produzione sono strettissimi e il minimo ritardo può costare caro. Vi sono poi anche altri rischi per tutta la troupe, come ha capito benissimo il produttore di «Gomorra»,che sembra aver detto: «Che faccio? Metto a rischio 70 persone? Cioè qui non si parla di gente normale, eh!».
LA YAKUZA PRESTA SOLDI IN TUTTO IL MONDO
La richiesta del pizzo a «Gomorra» è solo l’ultimo episodio di una lunga lista. Ad esempio, due mafiosi di Palermo hanno testimoniato che la produzione del film di Roberta Torre, «Tano da morire» (1997) pagò 30 milioni di lire al boss del quartiere della Vucciria (regista e produttori hanno sempre negato e non sono mai stati indagati).
Ovviamente c’è chi si ribella: quando nel 1971 Coppola fu sottoposto e richieste estorsive per le scene che voleva girare in Sicilia, spostò la troupe a Savoca, un paesino arroccato su un colle nella provincia di Messina, il quale ora è entrato nella storia del cinema: il matrimonio di Michael Corleone e il colloquio al bar Vitelli con il padre della sposa sono stati girati lì.
LA YAKUZA CONTA CENTOMILA AFFILIATI
Certo cambiare location è costoso e può far sballare i conti. Tristemente, alcuni produttori, come gli imprenditori dell’edilizia processati in Lombardia per aver accettato le richieste della ’ndrangheta, non sembrano percepire il costo sociale del monopolio mafioso sulla vita civile ed economica.
Vi è poi un terzo tipo di interazione tra mafia e cinema, molto comune in Asia: la simbiosi. Il gruppo mafioso acquista la casa di produzione - attraverso cui ricicla il denaro -, impone i propri contenuti sulle opere, e i picciotti diventano gli agenti degli attori.
Ad esempio, molte fonti sostengono che la Yakuza giapponese a suo tempo comprò una della cinque maggiori case di produzione del paese, la Toei, specializzata appunto in film di gangster. Addirittura, Ando Noburu, un ex membro, divenne uno dei loro attori di punta. «Nella lingua giapponese, la differenza tra yakuza and yakusha (attore) è un solo carattere», ebbe a dire in un’intervista.
Il grande regista Kinji Fukasaku, autore tra l’altro di «Lotta senza codice d’onore» (1973), racconta come i boss volessero vedere in anteprima i film prodotti dalla Toei, che organizzava per loro delle visioni private. In un caso che lo riguardava, «il capo arrivò e si guardò tutto il film», raccontò anni dopo Fukasaku in un’intervista. Il film passò il test, ma l’esperienza per il regista fu «piuttosto inquietante».
Dopo l’arrivo dei veri yakuza, il pubblico smise di apprezzare i film prodotti dalla Toei poiché le storie erano diventate troppo edificanti. Si dovette aspettare i registi indipendenti negli Anni Novanta perché questo genere cinematografico rinascesse in Giappone. Allo stesso modo, chi ha visto il film «I Grimaldi», una agiografia del boss di Cosa nostra Michele Greco, mi assicura che è altrettanto soporifero. Il regista è il figlio di Michele Greco. Quando la mafia si mette dietro la macchina da presa commette sempre dei crimini artistici. Quando invece si limita a chiedere il pizzo trova – a volte – registi e produttori disposti a vendere l’anima.