Gaia Cesare per “il Giornale”
Il piccolo Aylan riverso sulla spiaggia di Bodrum. In alto poche parole: «Così vicino alla meta...». A fianco un cartello con clown e l' inequivocabile «M» di McDonald' s, simbolo della globalizzazione e del consumismo occidentale. Segue la promozione: «Due menu bimbo al prezzo di uno».
Charlie Hebdo si conferma settimanale di satira irriverente. Ma il paradosso dell' ultimo numero, in cui il giornale ha deciso di riprendere l' immagine choc del bimbo siriano morto in mare nel tentativo di raggiungere la Grecia, è che stavolta non deride Maometto ma critica l' Occidente eppure - come se il senso stesso della vignetta non fosse stato capito - fa comunque infuriare gran parte dei musulmani. Così le ultime vignette, nelle pagine interne dedicate all' emergenza migranti, riaccendono il dibattito esploso subito dopo gli attentati di Parigi: violenza a parte, i musulmani non hanno forse un problema con la satira?
Ne è convinto Maajid Nawaz, ex estremista britannico che è ormai uno dei principali paladini della lotta contro l' islamismo dopo aver fondato il think tank Quilliam. «Amici musulmani, non tutto e non tutti sono contro di noi, ogni volta. Ma se continuiamo a presumere che lo siano, reagendo in questo modo, lo diventeranno sicuramente», spiega su Facebook.
All' origine del post c' è l' indignazione esplosa sul web. «Ecco perché non ero e non sarò mai Charlie. Come si può deridere quel povero bimbo?», commenta indignato su Twitter Zariyab. Anche il Daily Sabah , giornale turco in lingua inglese, titola senza esitazioni: « Charlie Hebdo si prende gioco del bimbo siriano annegato». Gli fa eco Morocco World News , che accusa il settimanale di «nascondersi dietro la libertà di espressione». Tutti convinti che anche stavolta sia stato oltrepassato un limite. Eppure la vignetta è esplicita e ci pensa Nawaz a chiarirne il senso: «L' immagine di McDonald' s è una critica feroce al consumismo europeo senza cuore di fronte a una delle peggiori tragedie umane del nostro tempo».
D' altra parte Charlie Hebdo, nel suo ultimo numero, insiste sul tema. Uno dei due disegni dedicati al piccolo siriano, opera di Laurent Sourisseau, in arte «Riss», succeduto al direttore Charb dopo la strage e già oggetto di una fatwa, recita esplicito: «La prova che l' Europa è cristiana: i cristiani camminano sull' acqua, i bambini musulmani annegano». Nulla di più chiaro. Eppure non basta. L' avvocato Peter Herbet, presidente della britannica Society of Black Lawyers, definisce Charlie Hebdo un settimanale «razzista, xenofobo, sul cammino della bancarotta ideologica e che rappresenta la decadenza morale della Francia». Poi minaccia di segnalare la pubblicazione alla Corte penale internazionale per incitamento all' odio.
«Quello di Charlie Hebdo è un umorismo nero fondato su un umanismo profondo, che afferma la dignità e il valore di tutte le persone», spiega al Giornale Soufiane Zitouni, ex professore di filosofia fuggito da un liceo islamico di Lilla e recentemente condannato per diffamazione dopo aver denunciato le idee estremiste che circolavano nella scuola. «Per comprendere l' umanismo di Charlie Hebdo bisogna riflettere, considerare con distacco, avere senso dello humour. Tutte cose che mancano profondamente nel mondo musulmano».
Zitouni, musulmano anche lui, lo sa sulla sua pelle. Dopo aver scritto su Libération che «anche il Profeta è Charlie», una settimana dopo il massacro al giornale, è stato minacciato di morte. Nel suo intervento si chiedeva «perché tanti musulmani mancano così brutalmente di humour, di lucidità e serenità ogni volta che si tocca un tabù, un dogma o un divieto al quale sono gelosamente attaccati?». È stato avvicinato da un collega che lo ha avvertito: «Sono d' accordo con te, ma ora guardati le spalle».