Antonio Fraschilla per “la Repubblica” - Estratti
In Rai è considerato il meno sicuro del gruppo destrorso e per questo lo «yesman» più a rischio inciampo della nidiata meloniana cresciuta sotto la guida di Giampaolo Rossi. Paolo Corsini nei corridoi dell’azienda pubblica è da molti definito il meno arrogante e quello dai modi più garbati nel trio nero che comanda oggi davvero la tv di Stato e dal quale lui “dipende”: un trio composto, oltre che dal direttore generale e filosofo del pensiero della destra televisiva, Rossi, anche da Angelo Mellone e Nicola Rao.
Ma Corsini resta in fondo la seconda fila promossa e ripromossa dalla destra al governo fino al vertice del genere Approfondimenti, al posto di un nome di peso come quello di Antonio Di Bella: promosso fino a sedersi su una poltrona che deve prendere scelte delicate e in tempi brevissimi.
Corsini è uno che si chiede con candore «allora come stiamo?» alla festa di Fratelli d’Italia, sentendosi parte della casa Meloni, ma ora al vertice della tv di Stato deve gestire patate bollenti continue: perché sotto la sua direzione ci sono programmi non graditi a Palazzo Chigi, come Report, e il monologo da tagliare perché non piace al partito è sempre dietro l’angolo. Se si è insicuri il pasticcio è solo questione di tempo.
Per tutto questo dentro la nuova Rai «non a caso», si sussurra, Corsini «rischia di finire adesso stritolato » dal caso Scurati, essendo lui formalmente il responsabile di quanto accaduto da direttore dell’Approfondimento e, allo stesso tempo, il più «sacrificabile» del gruppetto destrorso che ha preso le redini del Cavallo di viale Mazzini.
Una carriera dietro le quinte, quella di Corsini, giocata molto sulla politica oltre al giornalismo: entrato in radio alla fine degli anni Novanta, ha lavorato a Tg Parlamento e Rainews, occupandosi anche di sport: ma in 25 anni di carriera non ha mai condotto un tg o un programma.
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Per il resto solo qualche uscita sui social dal sapore nostalgico del Ventennio, dalla pubblicazione su Facebook della foto del padre bambino tra i «Figli della Lupa» nel 1938 a Tripoli con la frase «con ali e fiamme la Giovinezza va», alla foto del concerto dei 270bis, il gruppo di Marcello De Angelis noto anche per la canzone «Claretta e Ben», brano dedicato a Benito Mussolini e Claretta Petacci, che recita: «Io ho il cuore nero, e me ne frego e sputo in faccia al mondo intero».
«Grazie per le emozioni» scriveva dopo questo “evento” qualche anno fa. Corsini insomma non dà le soddisfazioni del suo dante causa Rossi, che nel suo blog in anni precedenti alla guerra in Ucraina descriveva magari un Putin come colui che non vuole sottomettere la Russia al «nuovo ordine mondiale preconizzato da Soros». Al massimo si trovano frasi, sempre sui social, contro la stampa di sinistra e «l’ossessione per il fascismo e il razzismo che dilagherebbero in Italia ».
Oppure battute, come quando in risposta a un tweet di Gianni Riotta che sosteneva di non «avere mai detto che Grillo è fascista», Corsini sottolineava: «Il fascismo è una cosa seria».
Il direttore tiene invece alla sua immagine ardita e indomabile, ad esempio postando foto da giocatore di rugby che affronta il fango del campo, o di amante delle moto stile anni Settanta, che guida magari con un giubbotto di pelle da inquieto giovane (che non è, avendo 55 anni).
Ma poi quando deve parlare con un Sigfrido Ranucci furibondo per il taglio alla repliche del suo programma o con una Serena Bortone che si lamenta per i budget di Chesarà, il direttore tentenna e prende tempo. E a proposito di grane: ieri, nonostante abbia ben altro a cui pensare, ha dovuto ascoltare al telefono pure il premier albanese Edi Rama furibondo per la puntata di Report sull’accordo Italia-Albania in tema di migranti.
Di solito comunque alle richieste di chiarimento di Ranucci, di Bortone, oppure di Riccardo Iacona, Corsini dice no a caldo, ma poi magari telefona al piano di sopra per sapere che fare. Resta quindi una domanda che circola in questi giorni tra gli addetti Rai: sul caso Scurati la telefonata l’ha fatta o per una volta ha detto, «decido io?». Il risultato comunque non cambia.
Un disastro, soprattutto per la leader maxima Meloni che le veline del Palazzo narrano essere andata su tutte le furie.
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