Estratto dell’articolo di Valerio Cappelli per il “Corriere della Sera”
«Tutti abbiamo bisogno di un po’ di quiete, fra tanta violenza, di essere elevati e non buttati giù. La letteratura è un grande conforto», dice Isabelle Adjani, star del festival di Spoleto. Il 29 in I mormorii dell’anima legge frammenti dei libri che ama, dove riemergono desideri, solitudini, ferite del passato che hanno alimentato il suo talento.
Come ha scelto i testi?
«C’è il filo rosso di una storia universale, come una musica, un segreto che si può condividere solo nell’intimità di un teatro. Prenderò per mano il pubblico in un mio museo interiore, alla ricerca di ciò che mi anima come donna e come artista: Duras, Sagan, Laurens, Fleury…».
Truffaut, stregato da lei, la bombardò di lettere ardenti. Lei ne fu soggiogata.
«Truffaut era un grafomane. Scriveva forse con la consapevolezza che i suoi scritti sarebbero giunti ai posteri, le sue lettere e i suoi biglietti erano delicati come i suoi desideri e le sue ossessioni, e facevano parte del suo arsenale da seduttore e non accettava che gli si resistesse. Cercava di conquistarti con le parole, prima di possederti.
Nel diario di Adele H. si ritrovano frasi rivolte a me. Avevo 19 anni e temevo il potere degli uomini. Per decenni noi giovani attrici siamo state condizionate da questo avvertimento: se non sei un oggetto di desiderio e se il regista non ha mire su di te, hai poche speranze di avere la parte. Truffaut mi affascinò col suo amore per il cinema, che mi ha trasmesso, ma la ragazza che ero a lungo ha resistito al suo fascino».
Sua madre non sopportava che lei si acculturasse.
«Lei era una cattolica bavarese, mio padre un algerino musulmano non praticante.
Non avevano gli stessi codici […]. Mia madre chiamava mio padre Jim e metteva il suo secondo nome, Chérif, al posto del primo, Mohammed. Lui voleva impormi la sua visione, censurando la mia femminilità. Leggendo Racine trovavo una fuga verso desideri e passioni. […] Per i miei genitori, diventare attrice era l’annuncio di scandalo dato che si mettono a nudo le emozioni».
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Lei a casa era vissuta come un tradimento…
«Sì, della famiglia e delle tradizioni. Mi sono ritrovata in un piccolo appartamento della periferia malfamata parigina, con genitori che non possono più dirsi ti amo e che non sanno dire ti amo ai figli.
Sono stata un ostaggio della loro sopravvivenza. Leggevo romanzi di cui loro due avrebbero potuto essere i protagonisti. Lui aveva 18 anni, lei 25 e scapparono insieme, lei con il cuore a pezzi, lasciando due bambini piccoli e un ex marito dispotico. Poi papà, che lavorava in un garage, respirando fumi tossici si ammalò fino a diventare invalido, mamma non lavorava, mio fratello viveva in una delinquenza dolorosa che l’ha fatto sprofondare nella droga e nella psicosi. Ho sacrificato grandi film per la loro salute, che era la mia priorità. Diventai il loro pronto soccorso personale.
Ma non ho potuto salvare nessuno. Con la psicoanalisi ho cercato di capire questo labirinto familiare. Sono cose che non avevo mai detto e che mi hanno segnata come attrice».
[...] Una volta disse che i registi sanno come far soffrire le attrici per ottenerne l’essenza dolorosa e profonda.
«Oggi in Francia sono metodi criticati e condannati. La scena del burro e l’esperienza traumatica vissuta da Maria Schneider nell’ Ultimo tango di Bertolucci ha fatto scandalo ma soprattutto ha ferito l’attrice […]. La sua fiducia fu violata. E questo perché si vedesse il massimo della violenza predatrice. È uno degli esempi peggiori nella storia del cinema. È la gloria dell’incubo, o l’incubo della gloria, a filmare la sua sofferenza».
Cosa pensa delle accuse a Depardieu di molestia?
«Alcune donne lo hanno denunciato e io le appoggio nella loro ricerca di verità. Valeria Golino ha detto di essere stata rispettata da Gérard e lo stesso è successo a me […]».
Lei abbandonò «Prénom Carmen» di Godard perché suo padre stava morendo.
«Andandomene non so se fui più godardiana di Godard. Nei pochi giorni di riprese, aveva un atteggiamento da seduttore, con gesti a volte al limite dell’osceno. Non esitava ad abbassarsi i pantaloni davanti a me, come se potesse avere un’attrazione sessuale. E la critica benpensante francese preferì fustigare me. Sì, mi sono assunta il rischio di non onorare l’appuntamento con l’uomo della Nouvelle Vague più venerato al mondo».
In che fase della vita è?
ISABELLE ADJANI E DANIEL DAY LEWIS
«Bisogna aspettare prima che mi ritiri in campagna. C’è l’mperativo di incarnare la bellezza imposto alle donne. Si rimproverò a Marilyn Monroe di essere troppo grassa e lo stesso succede a Kate Winslet, Monica Bellucci e Juliette Binoche. Dopo il MeToo , a 50 o 60 anni non si è troppo vecchie. Oggi i registi fanno bene ad aver paura di essere accusati di discriminazione».
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